“I green claims sono ovunque: magliette amiche dell’oceano, banane a emissioni zero, succhi rispettosi delle api, prodotti a emissioni compensate e così via. Sfortunatamente, troppo spesso queste affermazioni vengono fatte senza alcuna prova o giustificazione”. Con queste parole Frans Timmermans, vice presidente della Commissione europea e coordinatore del Green Deal europeo, il 22 marzo ha annunciato la proposta di una nuova Direttiva sui Green Claims per contrastare fenomeni di greenwashing che sempre più affollano le etichette dei prodotti e pubblicità. Secondo il testo, le aziende dovranno obbligatoriamente fornire prove evidenti sulla fondatezza di tutte le affermazioni ambientali e potranno continuare a effettuare dichiarazioni sulla neutralità climatica a condizione che soddisfino specifici requisiti di trasparenza.
Vaghe, fuorvianti o addirittura infondate. Su questo tipo di dichiarazioni la Commissione europea cerca di contrastare il greenwashing, tattica di marketing utilizzata da aziende e organizzazioni che consiste in false dichiarazioni ambientali o un’esagerazione della portata delle pratiche e degli sforzi di sostenibilità. Si tratta di una pratica che punta a intercettare il desiderio diffuso di consumatori, in particolare quelli appartenenti alla Gen Z, di acquistare prodotti sostenibile.
Il greenwashing nell’Unione europea
Uno studio sulle dichiarazioni ambientali realizzato dalla Commissione europea nel 2020 ha messo in luce la diffusione di questo fenomeno. Infatti, su un campione di 150 claims analizzati, si è scoperto che il 53,3% conteneva informazioni fuorvianti o infondate sui “vantaggi” ambientali dei prodotti e il 40% non presentava evidenze a supporto.
Al momento ci sono circa 230 ecoetichette sul mercato europeo, troppe secondo Bruxelles che ha introdotto per ciascuna una verifica da terze parti. Seconda la direttiva, inoltre, le evidenze scientifiche sulle affermazioni green dovranno essere disponibili per tutti i consumatori tramite QR code o sul sito web aziendale.
Per coloro che non rispettano queste indicazioni sono previste sanzioni con multe pari ad almeno il 4% del fatturato annuo o esclusioni fino a un anno dalla partecipazione ad appalti pubblici o sussidi, ma non è ancora chiaro come verrà strutturato il sistema dei controlli. Uno dei motivi è che attualmente non esiste una definizione di green claim e delle caratteristiche che rendono un prodotto davvero sostenibile. La versione precedente della bozza di testo parlava di un indicatore, noto come Product Environmental Footprint (PEF), creato per valutare le affermazioni ecologiche sui prodotti, che è stato però rimosso dal testo finale.
L’indicatore PEF, basato su un approccio di valutazione del ciclo di vita, è stato sviluppato dal Joint Research Center della Commissione per fornire un metodo comune per misurare le prestazioni ambientali dei prodotti nell’UE. Tuttavia, la Commissione ha fatto sapere di non poter utilizzare questa metodologia poichè non è sufficientemente esaustiva e non tiene conto di tutti i potenziali impatti sull’ambiente.
Il problema della compensazione di carbonio
Una delle novità che hanno suscitato più polemiche è il via libera a tutte le dichiarazioni relative agli impatti climatici come CO2 neutral o net zero. Secondo il testo della direttiva, le aziende sono invitate a specificare se le compensazioni si riferiscono a riduzioni o eliminazioni delle emissioni e a fornire ulteriori informazioni, compresa la metodologia utilizzata per comprovare la dichiarazione e la quota di emissioni compensate.
“Il messaggio deve essere chiaro, non stiamo vietando le compensazioni di carbonio, sono consentite – ha affermato il commissario europeo per l’ambiente Virginijus Sinkevičius – L’unica cosa è che i consumatori devono essere pienamente informati. Se stai vendendo un prodotto carbon neutral, sono necessarie ulteriori informazioni per specificare e provare come hai compensato quelle emissioni”
Questi claims, che spesso si dimostrano falsi, si basano soprattutto sulla compensazione delle emissioni attraverso “crediti di carbonio” generati al di fuori della catena del valore dell’azienda -ad esempio attraverso progetti di silvicoltura o di energia rinnovabile – e utilizzando metodologie che spesso non sono trasparenti o accurate.
Ciò può portare a “rischi significativi di sopravvalutazione e doppio conteggio delle emissioni evitate o ridotte” mentre dissuade le aziende dalla “riduzione delle emissioni nelle proprie operazioni e catene del valore”, ha affermato la Commissione nella sua bozza legislativa.
Le preoccupazioni delle ONG sui progetti di compensazione
A questi dubbi si sono unite alcune Ong sostenendo che le dichiarazioni di neutralità carbonica dovrebbero essere vietate perché fuorviano i consumatori suggerendo che prodotti o servizi non hanno alcun impatto sul clima. La preoccupazione è che i claims impediscono alle aziende di perseguire riduzioni “reali” delle emissioni.
“Tutte le dichiarazioni sulla neutralità del carbonio sono fuorvianti per i consumatori, in quanto suggeriscono che i prodotti non hanno alcun impatto sul clima, cosa impossibile da ottenere da un punto di vista scientifico – ha fatto notare European Environmental Bureau (EEB) – La direttiva aumenta solo i requisiti di trasparenza, la consideriamo un’occasione persa sulla strada per raggiungere un’economia carbon neutral, che richiede invece alle aziende di concentrarsi sulla riduzione delle proprie emissioni”
Valutando le aziende che hanno preso parte all’iniziativa Race to Zero, un recente rapporto di Carbon Market Watch ha calcolato che le loro promesse climatiche ridurranno solo il 36% delle emissioni generate entro il 2050, mentre l’obiettivo net zero imporrebbe un calo del 90-95%. Quasi tutte le strategie si basano infatti su progetti di carbon offsetting che non hanno gli stessi benefici climatici di azioni di riduzioni.