Oggi in Europa vengono disperse nell’ambiente tra le 52mila e le 184mila tonnellate di pellet di plastica. Chiamati anche nurdles, i pellet di plastica sono la materia prima utilizzata per la produzione di tutti i prodotti in plastica in commercio. Il loro impatto ambientale è finito recentemente nelle cronache dei media internazionali quando l’8 dicembre scorso sei container hanno sversato a largo delle coste della Spagna nord-occidentale oltre 25 tonnellate di pellet.
L’inquinamento da pellet
Durante la fabbricazione delle materie plastiche o altri processi della catena di approvvigionamento come per esempio il trasporto, può accidentalmente accadere che una parte di pellet di plastica finisca dispersa nell’ambiente. Questi piccoli granuli di plastica non si biodegradano e non possono essere rimossi, finendo per essere potenzialmente inghiottiti da specie marine e costiere come tartarughe marine, uccelli marini, pesci e molluschi. Una volta ingeriti, i pellet possono provocare danni fisici o la morte. La maggior parte dei pellet è costituita da microplastiche (fino a 5 mm) che sono state trovate più o meno ovunque: dagli ecosistemi marini agli alimenti, nell’acqua potabile fino alle arterie.
Il regolamento europeo sui pellet
Per contenere la dispersione dei pellet di plastica, il 23 aprile il Parlamento europeo ha approvato delle norme – proposte dalla Commissione il 16 ottobre 2023 – che impongono a tutti soggetti che trattano pellet di plastica di adottare misure preventive per ridurre al minimo le dispersioni. E in caso di perdite saranno obbligati a intervenire immediatamente per contenere e ripulire i danni ambientali.
Il regolamento, che dovrà essere votato dal Consiglio europeo e successivamente dal trilogo, si applicherebbe a tutti gli operatori economici coinvolti nel trattamento di pellet di plastica in Europa con quantità superiori a 5 tonnellate all’anno, nonché alle aziende responsabili della logistica e del trasporto di pellet all’interno dei confini Ue.
Secondo la Commissione europea, le attuali pratiche di gestione dei pellet comportano perdite in tutte le fasi della catena di approvvigionamento, in particolare durante la fase di produzione di plastica (vergine o riciclata), la lavorazione, il trasporto e altre operazioni logistiche e di gestione dei rifiuti. Una riduzione delle perdite di pellet tra il 54% e il 74% del totale contribuirebbe a raggiungere fino a ¼ dell’obiettivo di riduzione globale del rilascio di microplastiche in ambiente (30% entro il 2030).
Il regolamento stabilisce inoltre i requisiti sulle best practice da adottare, che includono lo sviluppo di una metodologia armonizzata per stimare le perdite. Agli operatori della filiera è richiesto poi produrre un piano di valutazione dei rischi per ogni impianto che tratta annualmente più di 1000 tonnellate di pellet di plastica. Questi piani dovranno contenere informazioni sul numero di tonnellate di pellet di plastica gestite all’anno e sulla natura chimica di ciascun polimero contenuto nei pellet di plastica presenti nel sito.
Tutti i contenitori per lo stoccaggio e il trasporto di pellet di plastica dovranno essere etichettati con un pittogramma specifico e con informazioni legate alla loro pericolosità, al potenziale impatto ambientale, insistendo sulla necessità di evitare il rilascio e di raccogliere eventuali fuoriuscite.
I potenziali benefici economici del regolamento
Per le piccole e medie imprese sono previste norme più leggere che garantiranno un’adeguata mitigazione dei potenziali impatti sulle loro attività. Infatti, la norma sui piani di valutazione dei rischi dovrebbe essere applicata a partire da due anni dopo l’entrata in vigore del regolamento per le grandi imprese, tre anni per le medie imprese e cinque anni per le piccole imprese. Il regolamento sarà riesaminato 8 anni dopo la sua entrata in vigore per valutarne l’applicazione e l’efficacia.
Seguendo il principio “chi inquina paga”, gli operatori dovrebbero sostenere i costi per conformarsi ai requisiti, dimostrando di avere applicato le misure attraverso la certificazione di terzi o l’autodichiarazione. Bruxelles specifica che questi costi dovrebbero essere limitati e sicuramente inferiori rispetto ai benefici derivanti da un’attenta gestione dei pellet. Si stima infatti che le imprese potrebbero arrivare a risparmiare tra i 23 e i 127 milioni di euro.
Gli effetti economici positivi non si osservano solo nella filiera della plastica. Ad esempio, anche il settore della pesca commerciale gioverà di una riduzione delle perdite di pellet: specie marine come le ostriche e le spigole inghiottiranno meno granuli di plastica. Analogamente, vi saranno meno pellet persi nelle acque reflue e nei fanghi di depurazione derivanti dal trattamento delle acque reflue.