Le scarpe meritano un miglior “fine vita” e solo un efficace ecodesign può regalarglielo. Nel mondo vengono prodotte ogni anno circa 24 miliardi di scarpe, delle quali il 95% finisce in discarica, all’inceneritore, o lasciato a invecchiare negli armadi per anni.
Essendo composte da diversi componenti e materiali difficili da separare, oggi le scarpe rappresentano uno dei prodotti tessili più complessi da riciclare. Ma ridare loro una seconda vita non è certo impossibile: basta iniziare dalle fondamenta dell’economia circolare, ovvero la fase di progettazione di un prodotto.
A questo proposito, il Regolamento europeo per la progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR) introdurrà a breve il concetto circolare di ecodesign anche per calzature. Si tratta di framework legislativo contenuto nel pacchetto del Circular Economy Action Plan, che stabilisce una serie di criteri (non ancora stabiliti) per rendere le scarpe e altri prodotti tessili più durevoli e affidabili, facili da riutilizzare, aggiornare, riparare e riciclare. Negli ultimi anni diversi brand hanno tuttavia anticipato i tempi, lanciando progetti e iniziative volontarie volte ad accelerare la transizione circolare del settore. Vediamone alcuni.
Le nuove scarpe Asics puntano sulla riciclabilità
Presentato l’11 aprile 2024 a Kobe (Giappone) dalla multinazionale Asics, il nuovo modello di scarpe da running Nimbus Mirai è pensato per risolvere le principali criticità che riguardano il riciclo delle scarpe. Innanzitutto la tomaia, ovvero la parte superiore della calzatura che avvolge il piede, è realizzata in plastica leggera di poliestere compattato in un unico strato. La colla, invece, che ha l’importante compito di tenere insieme suola e tomaia il più a lungo possibile, è stata progettata da Asics per consentire una facile separazione delle due componenti in fase di riciclo.
Dai test condotti dal brand giapponese, emerge la concreta possibilità di riciclare e riutilizzare l’87,3% del poliestere della tomaia, il tutto senza compromettere la tenuta della scarpa da corsa. Infine, l’innovativa intersuola, in grado di offrire al piede un’ammortizzazione morbida, è prodotta per circa il 24% da fonti rinnovabili, tra le quali gli scarti dalla lavorazione della canna da zucchero.
“L’obiettivo è rimasto quello di non compromettere in alcun modo le prestazioni del prodotto così che i runner possano indossare la scarpa come qualsiasi altro modelli di Asics”, ha spiegato Fumitaka Kamifukumoto, capo del dipartimento di sviluppo. “Con questa scarpa possiamo continuare la nostra missione di salvaguardia del pianeta per le generazioni future, chiedendo ai clienti di riportarci la calzatura una volta terminato l’utilizzo”. Mentre a livello globale i sistemi di raccolta dei prodotti tessili sono ancora in fase embrionale – la Commissione europea sta lavorando all’introduzione di un sistema di responsabilità estesa del produttore (EPR) per il tessile ‒ per ora ingaggiare i consumatori attraverso questo tipo di iniziative è l’unico modo per aumentare i tassi di riciclo e dare alle scarpe una seconda vita.
Altre scarpe sportive circolari
L’azienda giapponese Asics non è certamente l’unica ad aver intrapreso la strada verso una maggiore circolarità in campo sportivo. Le Adidas X Parley, per esempio, sono sneakers nate dalla collaborazione tra Adidas e l’organizzazione ambientalista Parley for the Oceans. L’ingrediente principale delle scarpe è un tessuto realizzato con la plastica ripescata dai mari. Rimanendo sempre in ambito sport footwear, la multinazionale statunitense Nike vende scarpe da ginnastica modulari e facilmente disassemblabili nella collezione ISPA (Improvise Scavenge Protect Adapt).
Ma anche l’azienda italiana Scarpa, leader nella produzione di calzature per la montagna e per le attività outdoor, sta lavorando a nuove soluzioni. È ancora in corso, infatti, il progetto Re-shoes che prevede la produzione e messa in commercio di un nuovo modello di calzatura del brand di Asolo, realizzato grazie alla raccolta, la selezione e il riciclo di scarpe giunte a fine vita. Il tutto tramite un processo di riciclo che consente di ricavare materie prime seconde dalle calzature usate e da scarti di produzione, per creare una nuova generazione di prodotti riciclati di alta qualità. Re-shoes ambisce a una riduzione di CO₂ del 52,4%, di sostanze chimiche del 50%, di consumo di acqua del 65% e del di energia 54,5%.
Le scarpe compostabili di Vivobarefoot
Raggiungere una completa riciclabilità significa anche progettare prodotti monomateriale, affinché si evitino complesse procedure di separazione tra le componenti di una scarpa. Un esempio innovativo lo ha realizzato l’azienda londinese Vivobarefoot che a marzo ha lanciato la prima scarpa al mondo compostabile grazie all’uso della stampa 3D.
Unendo le forze con Balena, una società che si occupa di scienza dei materiali, Vivobarefoot crea prototipi su misura utilizzando BioCir flex, un materiale termoplastico brevettato composto per il 51% da materiali biologici e per il 49% da prodotti petrolchimici. Non può essere gettato in un cumulo di compost in giardino, ma deve essere riciclato con la frazione umida, per poi essere inviato ad un impianto di compostaggio.
Le scarpe, che non sono ancora disponibili per la vendita, verranno stampate scansionando i piedi dei clienti direttamente in negozio. Una volta usurate, le calzature possono essere restituite presso un impianto di compostaggio industriale.