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A che punto siamo con la bioenergia circolare?

di Circularity

Data 01/07/2025
Tipo News

Le bioenergie sono tecnologie che trasformano le biomasse, ovvero materiali organici provenienti da piante e animali, in energia o in carburanti. Rappresentano una risorsa essenziale per decarbonizzare l’economia europea. Tanto che, come viene evidenziato dai dati della IEA Bioenergy, senza bioenergia la transizione costerà il 20% in più.

Tuttavia, un‘espansione incontrollata delle bioenergie potrebbe comportare alcuni rischi, come la competizione con i terreni destinati alla produzione alimentare e alla silvicoltura, un maggiore consumo delle risorse idriche ed esternalità sugli ecosistemi e alterazioni del suolo. Alcuni di questi impatti negativi sono inoltre accentuati dalla produzione su scala industriale che favorirebbe il ricorso a monocolture dedicate su larga scala.

Tra le filiere di bioenergia più sviluppate c’è quella biocarburanti che si classificano in due tipologie: prima generazione, ovvero derivanti da materie prime rinnovabili come canna da zucchero, mais e grano, tutte colture potenzialmente utilizzabili a fini alimentari. Oppure di seconda generazione, cioè ottenuti partendo da biomasse provenienti da sottoprodotti e scarti agricoli. Un tipo di biomassa più circolare perché proveniente da rifiuti. 

La situazione in Europa

Nei 25 paesi membri della IEA Bioenergy, i combustibili fossili rimangono dominanti, mentre le bioenergie rappresentano solo circa il 7% del consumo energetico totale.

In Europa, paesi come Spagna, Italia e Grecia giocano un ruolo chiave nel mercato delle biomasse. Tuttavia, la mancanza di incentivi economici ha spesso rallentato lo sviluppo di nuovi progetti. La forte volatilità dei prezzi delle materie prime rappresenta un ulteriore ostacolo, riducendo l’attrattività degli investimenti in impianti per la produzione di biogas e biomasse. Un maggiore sostegno pubblico, anche a favore dei soggetti privati, potrebbe fare la differenza, stimolando nuovi investimenti e accelerando la transizione energetica.

Alla EUBCE di Valencia, la principale fiera europea dedicata allo sviluppo di biomasse, biocircolarità e bioeconomia, Eric van den Heuvel, Technical Coordinator di IEA Bioenergy ha criticato il settore dei trasporti UE, che consuma oltre il 90% di combustibili liquidi di origine fossile, mentre l’elettricità rinnovabile è ancora scarsamente presente nella mobilità stradale. Secondo van den Huevel, per raggiungere l’obiettivo Net Zero Emission, deve aumentare l’uso di biocombustibili, perché i progressi attuali sono ancora inferiori agli obiettivi del 2030. 

Diverse soluzioni infatti hanno raggiunto la maturità ma su scala ridotta, e questo comporta rischi per il raggiungimento degli obiettivi. Secondo Kyriakos Maniatis, amministratore del Directorate General for Energy della Commissione europea, i lunghi tempi di costruzione di un impianto (3 anni almeno) stanno rallentando la transizione e che forse non dovremmo aspettare tecnologia perfetta, ma quella più funzionale in questo momento. 

L’esemoio del biogas indiano

L’India è oggi uno dei mercati in più rapida espansione per l’industria del biogas. Un ruolo determinante in questa crescita è stato svolto dalla National Bioenergy Mission, lanciata nel 2018, che ha delineato una strategia energetica volta a promuovere una miscela del 20% di etanolo nei carburanti, con l’obiettivo di raggiungere una percentuale compresa tra il 25% e il 30% nei prossimi anni.

Ad oggi l’India consuma circa 25 milioni di tonnellate di benzina all’anno, e l’integrazione dell’etanolo rappresenta un’opportunità concreta per ridurre sensibilmente questa dipendenza.

Dal punto di vista delle risorse disponibili, il paese può contare su un’enorme disponibilità di biomassa: si stima che ogni anno vengano generati tra i 200 e i 400 milioni di tonnellate di residui, tra cui scarti agricoli, sottoprodotti della lavorazione della canna da zucchero, rifiuti urbani solidi e letame. Nonostante questo potenziale, la realizzazione di nuovi impianti è spesso ostacolata dalla mancanza di un mercato strutturato per i prodotti finiti e dall’assenza di infrastrutture adeguate per la logistica e il trasporto.

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