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Che cosa sono i crediti di plastica

di Circularity

Data 01/08/2025
Tipo News

I crediti di plastica sono uno strumento relativamente nuovo pensato per affrontare il crescente problema dell’inquinamento da plastica, soprattutto nei paesi dove i sistemi di raccolta e riciclo sono poco sviluppati. Funzionano in modo simile ai crediti di carbonio: un’azienda può acquistare un credito per compensare una parte della plastica che immette sul mercato e non ricicla, finanziando in cambio progetti che raccolgono e riciclano rifiuti plastici, o che ne evitano la dispersione.

È uno dei temi caldi dei negoziati per un trattato globale sulla plastica, sospeso senza accordo nel dicembre 2024 a Busan, in Corea del Sud. I crediti di plastica sono stati promossi come un meccanismo di finanziamento chiave da includere nel trattato che secondo stime della Banca mondiale, potrebbe aiutare a colmare un gap di finanziamento di circa 240 miliardi all’anno da qui al 2040 per la gestione dei rifiuti di plastica. 

Tuttavia, come nel caso dei carbon credits, anche i crediti di plastica sollevano dubbi su trasparenza, impatto reale e giustizia ambientale.

I dubbi sui crediti di plastica

Per ogni chilogrammo di plastica raccolto o riciclato da un progetto certificato, si può generare un credito. Così le aziende possono così dichiarare di “compensare” il proprio impatto ambientale sulla plastica, senza necessariamente ridurre l’uso di plastica nei propri prodotti o imballaggi. Alcuni di questi progetti si concentrano sulla pulizia di fiumi, spiagge o ambienti urbani, altri invece incentivano la creazione di infrastrutture locali per il riciclo, spesso nel Sud globale, dove mancano risorse e in cui finiscono i rifiuti occidentali

Il mercato dei crediti di plastica è ancora in fase embrionale e non regolamentato in modo uniforme. Alcuni standard volontari, come quelli sviluppati da organizzazioni come Verra o Plastic Credit Exchange, cercano di certificare l’effettiva rimozione della plastica in modo trasparente. Tuttavia secondo diverse organizzazione ambientaliste, il rischio di greenwashing è alto: molte imprese usano i crediti per costruirsi un’immagine più “verde”, senza modificare in profondità le proprie catene di produzione o consumo.

Una delle analisi più critiche verso il sistema è stata pubblicata sulla rivista scientifica One Earth da un consorzio internazionale di scienziati indipendenti secondo cui i sistemi di compensazione come i crediti di plastica rischiano di replicare i fallimenti strutturali nella governance climatica, ostacolando interventi più efficaci come porre un tetto globale alla produzione di plastica. Una proposta che non ha mai trovato sufficiente consenso durante i negoziati, soprattutto dai paesi produttori di petrolio. 

Secondo i ricercatori anche la questione etica è problematica: molti dei progetti di raccolta della plastica che generano crediti si basano sul lavoro di comunità locali o raccoglitori informali, spesso sottopagati o privi di tutele. 

“Penso che i crediti per la plastica siano una pericolosa distrazione”, ha dichiarato a Materia Rinnovabile Kelvin Law, professore associato di contabilità alla Nanyang Business School di Singapore che non ha partecipato allo studio pubblicato su One Earth. “Un’azienda può continuare a sfornare plastica monouso inutile, poi acquistare dei crediti per un progetto di bonifica e dichiarare che sono ‘plastic neutral‘. È la ricetta perfetta per il greenwashing.

Il problema dell’addizionalità

Per dimostrare un impatto reale le aziende che comprano questi crediti dovrebbero provare l’addizionalità dei loro progetti, un requisito secondo il quale la compensazione deve essere destinati a finanziare attività che non sarebbero state realizzate senza il supporto finanziario fornito dai crediti. Secondo i ricercatori misurare l’addizionalità è complicato: raccolta e riciclo, infatti, di solito avvengono prima dell’emissione dei crediti, mancano standard e trasparenza nelle rendicontazioni e ci sono “incertezze significative nella proiezione di linee di base controfattuali che portano al risultato finale di massimizzare artificialmente le riduzioni credibili. 

Verra, l’organizzazione che gestisce il principale sistema di certificazione dei crediti di carbonio a livello mondiale, sta cercando di includere i crediti di plastica come strumento finanziario nel futuro trattato globale sulla plastica. A seguito di una richiesta di Materia Rinnovabile, Verra ha chiarito come viene garantito il principio dell’addizionalità all’interno del proprio programma. Per esempio se un’iniziativa dimostra che l’area in cui opera ha un tasso di raccolta inferiore al 20%, allora le sue attività vengono considerate “aggiuntive”, cioè realmente capaci di fare la differenza rispetto allo scenario preesistente.

Il parere dei riciclatori europei

Anche tra l’associazione dei riciclatori europei filtra un certo scetticismo. “L’industria potrebbe concentrarsi più sul credito in sé che sull’uso effettivo del materiale riciclato”, ha detto  a Materia Rinnovabile Paolo Campanella, segretario generale dell’Associazione europea per la gestione rifiuti (FEAD). “Si rischierebbe un paradosso: l’azienda compra crediti per abbattere le proprie emissioni, indipendentemente dalla qualità del riciclato, e il materiale potrebbe finire nell’applicazione più bassa possibile. Inoltre, aprirebbe il mercato a crediti esteri più economici, con il rischio di compromettere la filiera europea”. 

Secondo gli ultimi dati messi a disposizione dalla Banca Mondiale lo scorso anno, sono 160 i progetti registrati nei registri dei crediti per la plastica, principalmente nei paesi in via di sviluppo dell’Asia orientale e meridionale. Finora sono state compensate 75.665 tonnellate di plastica; il prezzo per ciascuno credito emesso si aggira dai 140 ai 670 dollari per tonnellata. 

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