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Come si riciclano i pannelli fotovoltaici?

di Circularity

Data 01/06/2023
Tipo Caso studio

Li vediamo sui tetti, a terra, e chissà in futuro a largo delle coste italiane. I pannelli fotovoltaici sono moduli che sfruttano l’energia solare per produrre elettricità e nella transizione ecologica europea giocano un ruolo chiave tra le fonti rinnovabili a disposizione.

Secondo le stime di Irena (International Renewable Energy Agency) , entro il 2050 a livello mondiale si produrranno 78 milioni di tonnellate di rifiuti di pannelli solari fotovoltaici, con un in giro d’affari di 15 miliardi di dollari. Ingenti quantità di risorse che potranno essere recuperate e valorizzate solo grazie ad un intelligente progettazione dei pannelli ed una mirata fase di riciclo. Prima di ragionare sul potenziale in termini di circolarità è necessario però distinguere i componenti, i materiali e tipi di pannelli fotovoltaici oggi in commercio.

Come sono fatti i pannelli fotovoltaici

I pannelli fotovoltaici non hanno una composizione standard, però tendenzialmente sono costituiti da un 15% da alluminio, 70% di vetro e il restante 15% è un mix di collante, silicio e materiali semiconduttori.

Il silicio è il materiale più importante per la produzione delle celle fotovoltaiche ed è ottenuto tramite lunghi processi di purificazione e cristallizzazione. Come accennato, esistono tre tipi principali di celle solari: silicio monocristallino, in silicio policristallino e quelle in silicio amorfo, dette anche “a film sottile”.

I pannelli al silicio poli e monocristallino sono i più diffusi ed efficienti, ma il loro grande nemico è il caldo: infatti all’aumentare della temperatura calano di efficienza. Reagiscono invece molto meglio i moduli a film sottile (realizzati con silicio amorfo) che sopportano le alte temperature e nell’ultima decade sono arrivati a rappresentare circa l’8% del mercato italiano. Una caratteristica che li contraddistingue è la versatilità: sono impiegate in svariati contesti di integrazione architettonica, di arredo urbano o di elementi strutturali di edifici. Tra i vantaggi del film sottile vi è anche quello di lavorare bene con la luce diffusa, sono i più economici presenti sul mercato anche se il loro rendimento energetico è minore.

Oltre al silicio, possono essere utilizzati anche altri materiali semiconduttori per la produzione di celle solari fotovoltaiche, come il tellururo di cadmio o il diseleniuro di rame-indio-galio. Questi materiali hanno la capacità di convertire la luce solare direttamente in energia elettrica.

Infine abbiamo il vetro, che rappresenta circa il 70% in peso dei pannelli. Deve essere trasparente alla luce solare per consentire il passaggio dei raggi solari alle celle fotovoltaiche e viene utilizzato come strato superiore protettivo del pannello fotovoltaico. L’alluminio, invece, viene usato per realizzare la cornice protettiva.

Il riciclo dei pannelli fotovoltaici

Attualmente la durabilità dei pannelli fotovoltaici si aggira tra i 25 e 30 anni. Dopo questo periodo L’efficienza diminuisce così tanto che non conviene più tenerli attivi.

In Italia, i moduli fotovoltaici vengono trattati esclusivamente attraverso un processo di lavorazione meccanico a basso impatto energetico ed emissivo. Questo metodo prevede la separazione delle diverse componenti  (come ad esempio le cornici in alluminio) seguita dal recupero del vetro, delle celle e del silicio attraverso l’utilizzo di macchinari speciali. Successivamente, si procede alla separazione dei metalli come alluminio, ferro e rame dall’elemento principale, ovvero il vetro, mediante diversi cicli di triturazione.

Tuttavia, è importante notare che il processo produce anche un mix di materiali, come silicio e plastica, che attualmente non vengono riciclati. Complessivamente, le attuali tecniche consentono di riciclare circa l’88-90% dei moduli fotovoltaici, generando approssimativamente 17-18 Kg di materie prime secondarie per ogni pannello.

In Italia il decreto legislativo 49/2014  impone di recuperare 85% del pannello in peso, che significa recuperare semplicemente le cornici e il vetro. Tuttavia, è il resto del materiale che contiene i metalli più preziosi e richiede la maggiore quantità di energia durante i processi produttive. Diverse aziende stanno cercando di raggiungere il riciclo totale di tutte le componenti del pannello, anche se le attuale tecnologie non permettono un upcycling del silicio, poiché – una volta riciclato – non possiede un sufficiente grado di purezza.

Tuttavia, non esiste solo il riciclo meccanico per lo smaltimento dei pannelli dismessi. Il trattamento termico, per esempio, comporta la decomposizione del materiale incapsulante e delle altre sostanze polimeriche attraverso processi come la pirolisi, mentre quello chimico prevede l’utilizzo di sostanze (estrazione chimica selettiva) che permettono il recupero dei metalli.

Le criticità della filiera

Una fase importante della catena del valore dei pannelli fotovoltaici è la produzione di polisilicio, essenziale per lo sviluppo delle celle. Attualmente il mercato è dominato dalla Cina, in particolare dalla regione dello Xinjiang dove bruciare il carbone rende l’energia molto più economica. Dal momento che l’elettricità rappresenta circa il 40% dei costi operativi di una fabbrica, l’aumento dei prezzi dell’energia (non proveniente dal carbone) ha fatto perdere all’Europa molta competitività e oggi il polisilicio che le aziende europee acquistano è quasi esclusivamente Made in cina.

La dipendenza europea non preoccupa solo da un punto di vista ambientale e meramente economico, ma in gioco ci sono anche criticità legate ai diritti umani. Sono anni che Ong, inchieste giornalistiche e testimonianze dirette accusano il governo cinese di gravi violazioni dei diritti umani nei confronti della minoranza uigura che vive nella Cina occidentale (in particolare nello Xinjiang).

Le organizzazioni per i diritti umani sostengono che almeno un milione di persone siano state imprigionate nei campi, torturate e costrette ai lavori forzati allo scopo di combattere l’estremismo religioso. Questi dati sono confermati anche dall’ultimo rapporto dell’Onu che documenta quanto questi “campi di rieducazione” siano diffusi nella regione

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