In un periodo in cui l‘industria del riciclo fatica a essere competitiva, il tasso di circolarità europeo è fermo all’11% e la fame di materia non si placa, alla transizione circolare europea sta mancando evidentemente qualcosa. Sarà il nuovo Circular Economy Act, che la Commissione europea intende lanciare nel 2026, a dare una scossa?
La nuova legge quadro mira a rafforzare l’economia circolare come strumento per aumentare la competitività industriale e la sicurezza economica dell’Unione europea.
La stagnazione del mercato delle materie prime seconde è da imputare in primis a un mercato unico ancora frammentato da interpretazioni regolamentari discordanti da paese a paese. A oggi, i flussi di acciaio riciclato, plastica rigenerata, carta, vetro e materiali critici sono ostacolati anche da una scarsa domanda e mancanza di tracciabilità di rifiuti (illegali) che portano alla perdita di materie prime.
Intervistato da Materia Rinnovabile Paolo Campanella, segretario generale dell’Associazione europea per la gestione rifiuti (FEAD), pensa che alcuni settori del riciclo funzionino bene, come i metalli, il vetro o la carta. Settori in cui è più conveniente comprare riciclato. Ma quando si va oltre, per esempio sulle plastiche o sulle materie prime critiche, mancano economie di scala, i costi sono alti e poche aziende sono in grado di trattare questi rifiuti. “Inoltre, c’è una scarsa domanda: per questo abbiamo chiesto da tempo dei target obbligatori di contenuto riciclato, che la creano.
Senza domanda, è difficile ci sia offerta. Servono politiche che obblighino o incentivino l’uso di materiali riciclati, così da stimolare investimenti anche in impianti più specializzati e in qualità più elevate”, ha dichiarato Campanella.
Fino al 6 novembre è aperta la fase di consultazione pubblica del nuovo Circular Economy Act. Cittadini, imprese e organizzazioni potranno inviare suggerimenti attraverso la piattaforma “Have Your Say”.
La revisione della direttiva RAEE
Il nuovo framework proposto dalla Commissione europea prevede una revisione della Direttiva RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), che disciplina le norme e gli obiettivi per la raccolta e il trattamento dei rifiuti elettronici, dalle piccole batterie ai pannelli fotovoltaici.
In quasi 20 anni, la Direttiva RAEE ha portato a un decuplicamento della quantità di rifiuti elettronici recuperati e adeguatamente riciclati, ma non tutti gli Stati membri hanno raggiunto gli obiettivi prefissati. Oggi solo il 40% dei RAEE immessi sul mercato viene poi riciclato, il resto viene smaltito in modo improprio o esportato illegalmente.
Bruxelles intende aumentare la percentuale di materiali recuperati per ridurre la percentuale di materiali vergini importati, sia per le nuove apparecchiature elettriche ed elettroniche che per altre applicazioni. Dai RAEE infatti si possono estrarre materiali critici essenziali per la transizione green e digitale europea, tra cui terre rare, rame, cobalto, litio nichel.
L’obiettivo dell’UE è raggiungere un tasso di riciclo del 25% dei Critical Raw Materials, rispetto all’attuale 1% circa. Ciò richiede investimenti nelle infrastrutture necessarie nell’ambito del Clean Industrial Deal presentato lo scorso anno.
Lotta contro la cultura dell’usa e getta
Oltre al riciclo, Bruxelles punta da tempo anche a prolungare la vita dei prodotti. Il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR), entrato in vigore nel 2024, mira a creare nuove opportunità economiche nella rigenerazione, nel riciclaggio e nella riparazione.
In questa direzione si inserisce anche il concetto di “diritto alla riparazione”, proposto dalla Commissione europea sotto forma di incentivi per rendere le riparazioni più semplici e convenienti, riducendo così la produzione di rifiuti.
Un’ulteriore misura è la direttiva pensata per “dare ai consumatori gli strumenti per la transizione verde”, che garantisce informazioni più chiare sulla durata e riparabilità dei prodotti.
La domanda di riparazioni, del resto, è alta: secondo un sondaggio del 2020, il 77% degli europei preferirebbe riparare i propri beni anziché sostituirli, ma spesso è costretto a comprarne di nuovi per mancanza di servizi adeguati.