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Sostenibilità è anche una comunicazione che si pone in continuità tra passato e futuro

by Paola Ficco, Avvocato - Giurista ambientale e Direttore della Rivista Rifiuti

Date 14/06/2022
Tipo Editorial
rivista rifiuti

Analisi e decisioni casistiche. In altri termini il caso per caso, da cui il “mi torna” che conclude processi decisionali complessi dei quali però non si riesce a restituire il senso e il percorso. Semplicità e scorciatoie sono ormai alla base del linguaggio e del suo inevitabile impoverimento.

Un problema del quale non si parla mai anche se la limitatezza del lessico non consente l’effettiva e consapevole descrizione di qualcosa. Ne deriva un’inevitabile approssimazione e il linguaggio articolato inizia ad essere avvertito come un’ulteriore complicanza nelle giornate mai semplici di tutti noi. Una specie di fastidio ma anche una specie di pericolo perché l’impoverimento del linguaggio si ripercuote sui processi cognitivi e trasforma i modelli di pensiero. Per dirla con “1984” di George Orwell, se è vero che il pensiero può corrompere il linguaggio è anche vero che il linguaggio può corrompere il pensiero.

Un fenomeno al quale si guarda con disinteresse perché l’imperativo categorico della comunicazione moderna è la velocità con la quale un messaggio arriva a qualcuno (a prescindere da come costui lo interpreterà).

Un nuovo valore, dunque, che presenta il buono di veicolare rapidamente notizie, situazioni ed emozioni, ma presenta anche il gramo di impoverire il lessico con il quale questa veicolazione avviene; si pensi ai 180 caratteri di Twitter, insufficienti per restituire un pensiero articolato ma più che bastevoli per lanciare uno slogan.

Ancora Orwell, nel suo “1984” ha reso famosa la neolingua: un adattamento del linguaggio che riduce al minimo le capacità lessicali di ognuno con il preciso intento di limitarne la capacità di pensiero perché non servono molte parole per esprimere un concetto.

Così, automaticamente, con la riduzione selettiva dei sinonimi e dei contrari, è quasi impossibile esprimere un pensiero complesso. Un attacco morbido e seducente alla libertà di pensiero già preconizzata da J. Swift che, nel suo “I viaggi di Gulliver”, ironizzava sugli scienziati dell’Accademia di Lagado i quali, per risparmiare l’usura dei polmoni, immaginavano di poter sostituire il linguaggio con gesti e mostra di oggetti.

La parola è elemento fondante del pensiero sostenibile contemporaneo perché la comunicazione deve ripensare sé stessa oltre il presente, in continuità con le generazioni passate e lo sguardo aperto su quelle future.

È questo uno dei molti doveri che una società matura dovrebbe assumersi, per evitare una visione ingenua e al contempo perversa del mondo, sempre in bilico sulle precarie frontiere tra la realtà e la sua narrativa. Una visione che nasconde le questioni sotto la superficiale patina della società delle immagini che restituisce un mondo iper reale e che, dietro lo schermo del nuovo “device”, cela il dolore di esistenze irrisolte.

Da qui la “spirale del silenzio” teorizzata da Elisabeth N. Neumann dove si teme più l’isolamento che l’errore. La paura di rimanere isolati è così forte da indurre gli individui ad assumere un’opinione contraria alla loro, ma che essi percepiscono come dominante, dove si crede ciò che si pensa gli altri credano. Ora la velocità della comunicazione di massa accelera la spirale, amplificando alcune opinioni e facendole circolare più velocemente di altre, fino a oscurarle o a farle apparire irrisorie.

Ma non è un fenomeno nuovo; nel suo saggio del 1856 sulla Rivoluzione francese, A. de Tocqueville, ne scriveva così “temendo più l’isolamento che l’errore si unirono alla folla pur senza pensare come essa”.

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