Nel 2024 il sistema CONAI, il Consorzio nazionale imballaggi, ha prodotto 3,8 miliardi di euro di valore economico, contribuendo per 2 miliardi di euro al PIL nazionale e sostenendo oltre 24 mila posti di lavoro lungo l’intera filiera del riciclo. Le cifre contenute nel Rapporto integrato di sostenibilità presentato da CONAI venerdì 21 novembre, parlano di un sistema fondamentale per la stabilità economica che riduce le emissioni climalteranti generate dalla produzione degli imballaggi e gli sprechi materici.
Nel report si legge che l’Italia nel 2024, grazie al riciclo, ha risparmiato 12,2 milioni di tonnellate di materie prime vergini, evitato l’utilizzo di 55 terawattora di energia primaria, quanto i consumi domestici della metà delle famiglie italiane, e ridotto le emissioni di gas serra fino a 11,4 milioni di tonnellate di CO₂ equivalente, che corrispondono a quelle di circa 9.000 voli intorno al mondo.
Come riporta Materia Rinnovabile, le materie prime seconde generate dal riciclo dei rifiuti sono una risorsa preziosa per sopperire alla mancanza di materie prime, di cui l’Europa è tradizionalmente sprovvista. “Il sistema si può ancora perfezionare, soprattutto se pensiamo a tutto il lavoro da fare nel settore tessile”, ha dichiarato il presidente del CONAI Ignazio Capuano. “Ma di fatto il sistema del nostro consorzio fornisce risorse e materiali che servono alle imprese, peraltro diminuendo i consumi e le emissioni.”
Durante la presentazione è intervenuto anche Carlo Cici, partner e head of Sustainability di TEHA Group, che ha ribadito i benefici, anche economici, della transizione ecologica. “La scienza dice che le attività umane generano i cambiamenti climatici, ma tutti rimangono convinti sia meglio rallentare la transizione. Questo accade perché ci si concentra solo sui costi della transizione, mentre non si dice che rallentarla costerebbe di più”.
La concorrenza “sleale “extra UE
L’Italia si conferma tra i leader europei nella gestione dei rifiuti con risultati superiori alla media dell’Unione, nonostante i costi energetici e una crescente competizione con i materiali riciclati provenienti dai mercati esteri, spesso più economici e poco tracciati.
L’industria del riciclo europea deve fare però i conti anche con la concorrenza di paesi extra UE, che rischia di rendere le materie prime seconde del nostro continente meno competitive. A sollevare il tema è stato ancora una volta Capuano: “I prodotti extra UE sono più competitivi perché seguono regole diverse dalle nostre, creando il paradosso per cui essere ambientalmente responsabili ci espone a una concorrenza molto forte. Per questo l’Unione Europea deve agevolare i sistemi di riciclo e recupero: non produrre in Europa per produrre altrove a costi ambientali maggiori è un errore strategico”.
Secondo quanto emerge dall’ultimo Osservatorio sull’industria del riciclo e dei rifiuti di AGICI, cinque filiere del riciclo (plastica, carta, vetro, organico e RAEE) hanno registrato un calo delle marginalità media, nonostante i ricavi da 7 miliardi di euro nel 2023.
Il report mostra risultati molto diversi lungo la filiera: l’operatore della raccolta ottiene solo il 2% di marginalità, mentre il termovalorizzatore registra la performance più alta, arrivando al 19%. Gli impianti di selezione della plastica e della carta superano il 10%, mentre la maggior parte dei riciclatori resta sotto questa soglia, ad eccezione delle cartiere che raggiungono il 12%.
La crisi del riciclo delle plastiche
Alcuni settori del riciclo funzionano bene, come i metalli, il vetro o la carta. Settori in cui è più conveniente comprare riciclato. Ma nelle plastiche o nelle materie prime critiche, mancano economie di scala, i costi sono alti e poche aziende sono in grado di trattare questi rifiuti. Inoltre, spesso le aziende devono fare i conti con una scarsa domanda. Per questo motivo diverse associazioni di categoria, anche europee, chiedono da tempo dei target obbligatori di contenuto riciclato.
Il settore europeo del riciclo della plastica attraversa una fase critica: dal 2023 hanno chiuso circa 40 impianti, soprattutto nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, con una perdita complessiva di 280.000 tonnellate di capacità di riciclo. Gli utili sono crollati e i costi operativi sono triplicati.
Secondo Assorimap, l’Europa sta progressivamente perdendo la propria capacità industriale e l’Italia rischia di essere il prossimo epicentro della crisi. Gli utili dei riciclatori italiani sono scesi da 160 milioni nel 2021 a 20 milioni nel 2023 (-87%), nonostante la produzione di plastica riciclata resti stabile.
Le chiusure stanno erodendo l’autonomia strategica dell’UE: la capacità persa ha superato le 280.000 tonnellate nel 2024 e potrebbe arrivare a 380.000 nel 2025. Nel frattempo, i costi energetici rendono la produzione italiana della materia prima seconda molto meno competitiva: è tre volte più cara rispetto a Turchia e Cina, e cinque volte rispetto al Vietnam.
Il PET riciclato si vende oggi a 1.400–1.500 €/t, ma dal 2022 il settore ha perso il 30% del fatturato. Per le imprese non integrate, la situazione è drammatica: utili scesi da 155 milioni nel 2022 a 6 milioni nel 2023, con il rischio di azzerarsi entro il 2025.