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L’inquinamento chimico e i confini planetari

di Circularity

Data 10/02/2022
Tipo News

È confermato dagli scienziati: il “cocktail” di inquinamento chimico che pervade il pianeta ora minaccia anche la stabilità degli ecosistemi globali da cui dipende l’umanità. Nel 2009, un gruppo internazionale di ricercatori ha identificato nove confini planetari che definiscono lo stato della Terra a partire da circa 10.000 anni fa. 

Il concetto di confini planetari è stato proposto per articolare i processi naturali chiave che, se mantenuti in equilibrio, supportano la biodiversità. In caso contrario, quando questo equilibrio viene interrotto, oltre una certa soglia, può destabilizzare o persino distruggere il funzionamento della Terra

Questi confini includono: 

  • il cambiamento climatico, 
  • l’integrità della biosfera, 
  • l’acidificazione degli oceani, 
  • la riduzione dell’ozono, 
  • l’inquinamento atmosferico, 
  • l’utilizzo di acqua dolce, 
  • i flussi biogeochimici di azoto e fosforo, 
  • il cambiamento del sistema terrestre 
  • il rilascio di nuove sostanze chimiche. 
inquinamento chimico: i nove confini planetari
I 9 confini planetari. Fonte: Centro di resilienza di Stoccolma 

Fino a qualche anno fa, i ricercatori non disponevano di dati sufficienti per quantificare il confine dell’inquinamento chimico, altrimenti noto come nuove entità (essenzialmente: qualsiasi sostanza prodotta dall’uomo assieme ad elementi naturali, tra cui metalli pesanti, che l’attività umana mobilita o trasporta ad alti volumi). Molti di questi confini hanno soglie ben definite. Ad esempio, gli scienziati hanno stabilito che l’umanità avrebbe superato lo spazio operativo sicuro per il cambiamento climatico quando l’anidride carbonica nell’atmosfera avrebbe superato le 350 parti per milione (ppm), evento accaduto nel 1988. Tuttavia, il confine per le nuove entità, fino a poco tempo fa, ha eluso la definizione, per gran parte, a causa delle lacune di competenza che circondano queste sostanze. 

Il superamento dei quattro confini planetari  

I ricercatori hanno quantificato che nel 2015 l’attività umana ha violati quattro di questi confini: 

  • Le emissioni di gas serra che stanno spingendo il clima globale in un nuovo stato più caldo;
  • L’estinzione della specie che minaccia l’integrità della biosfera; 
  • La transizione delle foreste in terreni agricoli che ha degradato la qualità della terra; 
  • I processi industriali e agricoli che hanno alterato radicalmente i cicli naturali del fosforo e dell’azoto.   

L’esperimento ha coinvolto 14 autori in cinque paesi diversi ed è stato guidato da Linn Persson, un esperto di inquinamento chimico, presso lo Stockholm Environment Institute. 
La ricerca ha utilizzato una combinazione di misurazioni per valutare la situazione, ovvero: 

  • il tasso di produzione di sostanze chimiche (che sta aumentando rapidamente); 
  • il loro rilascio nell’ambiente (che sta avvenendo molto più velocemente rispetto alla capacità delle autorità di tracciare o indagare sugli impatti). 

Hanno fatto parte della valutazione anche i noti effetti negativi di alcune sostanze chimiche tra cui: 

  • l’estrazione dei combustibili fossili, 
  • la loro dispersione nell’ambiente. 

I ricercatori dello Stockholm Environment Institute, hanno sottolineato come diversi parametri fossero al limite. Anche se, ancora oggi, risulta complicato dimostrare quanto l’umanità li abbia violati. 

L’aumento della produzione di prodotti chimici  

Dal 1950 c’è stato un aumento del +50% in più della produzione dei prodotti chimici e si prevede che questo dato triplicherà nuovamente entro il 2050, come dichiarato da Patricia Villarrubia-Gómez, dottoranda e assistente di ricerca presso lo Stockholm Resilience Center (SRC). Basti pensare che la sola produzione di plastica è aumentata del 79% tra il 2000 e il 2015. 
 
Attualmente sono ben 350.000 le sostanze chimiche sintetiche in produzione a livello globale, e solo una piccolissima frazione di queste è stata valutata per la sua tossicità. Si sa ancora poco dei loro effetti cumulativi o in miscela nonostante arrivino indicazioni scientifiche rispetto all’assunto che il livello di esposizione a queste sostanze permane lungo tutto il ciclo di vita umana e che gli effetti di queste esposizioni sono su larga scala e a lungo termine. 

È assodato come il rischio di esposizione associato ai prodotti chimici e alla plastica riguardi il loro intero ciclo di vita: dall’estrazione alla produzione, all’utilizzo, ai rifiuti e, infine, al rilascio nell’ambiente. 
In ciascuna di queste fasi infatti si possono verificare danni. Ad esempio, i combustibili fossili vengono estratti da processi che possono devastare interi habitat. Queste materie prime danno origine a plastica e pesticidi che richiedono molta energia, generando molti gas climalteranti durante la produzione. 

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La conferma di questi limiti è in contrasto con la capacità dei governi di controllare la situazione e valutarne il rischio. 
Ci sono prove che le cose stanno andando nella direzione sbagliata in ogni fase del processo, ha affermato la prof.ssa Bethanie Carney Almroth dell’Università di Göteborg, che faceva parte del team. “Ad esempio, la massa totale della plastica ora supera la massa totale di tutti i mammiferi viventi. Questo per me è un’indicazione abbastanza chiara che abbiamo oltrepassato la linea. Siamo nei guai, ma ci sono ancora alcune cose che possiamo fare per intervenire“. Questo problema è planetario. La produzione e il rilascio di inquinamento chimico è intrinseco al sistema economico globale. 
Anche il professor Carney Almroth dell’Università di Göteborg, in Svezia, afferma che il mondo deve “lavorare per implementare un limite fisso alla produzione e al rilascio di sostanze chimiche“. 

L’economia circolare come nuovo modello di produzione dei prodotti chimici 

Abbiamo visto come il corrente modello lineare di produzione delle sostanze chimiche non sia compatibile con i delicati equilibri che regolano il nostro ecosistema e ne stia di fatto superando le soglie di sicurezza. È dunque necessario passare ad un modello di produzione e consumo più circolare, simulando ciò che avviene nel mondo naturale, in cui non esistono scarti ed emissioni dannose, ma dove invece il prodotto di ogni processo diventa l’input per quello successivo.  
 
I ricercatori Villarrubia-Gómezha sottolineano: “passare a un’economia circolare è davvero importante. Questo significa cambiare i materiali e i prodotti in modo che possano essere riutilizzati, non sprecati. È necessaria una regolamentazione più forte e, in futuro, inserire un limite fisso alla produzione e al rilascio di sostanze chimiche, nello stesso modo in cui gli obiettivi di carbonio mirano a porre fine alle emissioni di gas serra.” 
Il loro studio è stato pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology. Ci sono sempre più richieste per un’azione internazionale sui prodotti chimici e sulla plastica, compresa l’istituzione di un organismo scientifico globale per l’inquinamento chimico simile al Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici. Il professor Sir Ian Boyd dell’Università di St Andrews, che non faceva parte dello studio, ha detto: “L’aumento del carico chimico nell’ambiente è diffuso e insidioso. Anche se gli effetti tossici delle singole sostanze chimiche possono essere difficili da rilevare, questo non significa che l’effetto aggregato sia probabilmente insignificante. La regolamentazione non è progettata per rilevare o capire questi effetti. Siamo relativamente ciechi di fronte a ciò che sta accadendo di conseguenza. In questa situazione, dove abbiamo un basso livello di certezza scientifica sugli effetti, c’è bisogno di un approccio molto più precauzionale per le nuove sostanze chimiche e per la quantità che viene emessa nell’ambiente” 
 

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