DOMANDA
Impianto di stoccaggio di rifiuti recuperabili e non, con contestuale attività di microraccolta presso la clientela. La maggior parte dei rifiuti gestiti è costituita da olii esausti, batterie esauste e filtri dell’olio. La raccolta e il trasporto avvengono utilizzando diverse tipologie di contenitori, tra cui i fusti per la raccolta degli olii esausti. In ordine a tali fusti, nell’ambito di una verifica presso un’autofficina nostra cliente, un Organo di controllo ha contestato che, all’atto del loro ritiro, sia lasciata al cliente la stessa specie di imballaggio precedentemente utilizzata per contenere la medesima tipologia di rifiuto. Il tutto ritenendo che detti contenitori non possano essere qualificati come imballaggi in quanto l’articolo 218, comma 1, lettera a), Dlgs 152/2006 fa riferimento al contenuto espresso come “merce”. In sostanza, in quanto destinato a contenere rifiuti il fusto diventerebbe esso stesso, al termine del primo ciclo di utilizzo, un rifiuto e pertanto occorrerebbe un’operazione di bonifica per ricondurlo allo stato di “bene”. Si chiede di conoscere la Vostra opinione sul punto.
RISPOSTA
La definizione di “imballaggio” di cui all’articolo 218, comma 1,
lettera a), Dlgs 152/2006 è la seguente: “il prodotto,
composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate
merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la
loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o
all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a
perdere usati allo stesso scopo”. Come è evidente, la norma fa riferimento
alle “merci”. I rifiuti sono sicuramente “merci” perché possono essere
compravenduti, costituendo oggetto di transazioni commerciali.
Però la norma indicata specifica che nell’ambito delle “merci” (ai fini della
definizione di imballaggio”) si va “dalle materie prime ai prodotti
finiti”. Una specificazione che espunge immediatamente i contenitori per i
rifiuti (quali che siano) dal concetto di imballaggio ma che non toglie ai
rifiuti contenuti la loro natura di merce.
Anche nel sito www.conai.org si legge che “cassonetti
e altri contenitori per rifiuti” non sono ricompresi tra gli
imballaggi.
Quindi, non è possibile ragionare con riguardo al sistema imballaggi. Occorre
semplicemente fare riferimento alla definizione di rifiuto che, come noto, si
concreta solo ed esclusivamente in presenza della ricorrenza del concetto di
“disfarsi”.
Gli estremi della definizione di rifiuto non sono affatto riconnessi alla
pulizia/bonifica o meno di qualcosa ma solo ed esclusivamente a tale concetto
di “disfarsi”. Nel caso di specie, non vi è dubbio che il Lettore non vuole
disfarsi dei suoi contenitori, tanto che li impiega e li reimpiega affinché
possano essere nuovamente dai clienti. Ma questi contenitori sono di proprietà
del Lettore e costituiscono l’articolazione di una sua modalità operativa e gestionale.
Del resto, anche i contenitori per la raccolta differenziata stradale e i
cassonetti di cui sono disseminate le nostre città, pur contenendo rifiuti non
sono rifiuti, ma semplici strumenti per la raccolta. E (come noto a chi vive
nelle grandi città) ad ogni svuotamento non corrisponde affatto una pulizia.
Quindi, se la pulizia dei contenitori viene considerata come modalità per
restituire un rifiuto al concetto di “non rifiuto”, tutti i cassonetti stradali
non puliti diventerebbero rifiuti abbandonati.
Fondamentale, per capire il crinale al quale ascrivere la condotta riferita nel
quesito è il concetto di riutilizzo, restituito dall’articolo 183,
comma 1, lettera r), Dlgs 152/206, come “qualsiasi
operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono
reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti”.
Tale concetto, come è evidente, allunga il ciclo di vita del materiale.
Nel muovere da tale definizione, non può non riconoscersi che i fusti per gli
oli usati non possono essere considerati rifiuti, bensì prodotti
destinati al riutilizzo perché i fusti contenenti oli usati vengono
svuotati per aspirazione del contenuto e solo in alcuni casi mediante lavaggio
interno e il Lettore intende utilizzarli per lo stesso uso per il quale erano
stati concepiti: contenere oli usati. Pertanto, tali contenitori vanno
trasportati con documento di trasporto. In tal senso il Lettore ha posto in
essere la migliore opzione ambientale possibile, in omaggio alla disciplina
comunitaria e nazionale relativa alla gestione dei rifiuti, prevenendone la
formazione. Infatti:
a) i criteri di priorità di cui all’articolo 4, par. 1 e 2, Direttiva
2008/98/Ce e all’articolo 179, comma 1, Dlgs 152/2006 declinano una specifica e
vincolante gerarchia comportamentale con riguardo alla gestione dei rifiuti.
Tale gerarchia (prosegue il comma 2) stabilisce “un ordine di priorità
di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale”.
Su questa base e nel rispetto della gerarchia, “devono essere adottate
tutte le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono … il miglior risultato
ambientale complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed
economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica”.
In particolare, l’ordine gerarchico decrescente delle priorità stabilisce
la seguente propedeusi comportamentale:
• prevenzione
• preparazione per il riutilizzo
• riciclaggio
• recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia
• smaltimento.
È di tutta evidenza che in questa propedeusi, la prevenzione della formazione dei rifiuti occupa la prima posizione in assoluto, e ciò in forza del fatto che essa mira ad allungare il ciclo di vita dei materiali. La prevenzione della formazione dei rifiuti si pone, pertanto, già in una logica di economia circolare che, in alternativa a quella lineare, la nuova Direttiva comunitaria sui rifiuti (851/2018 che ha modificato la direttiva 2008/98/Ce) ha già introdotto.
Quindi, mentre la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero e lo smaltimento riguardano i rifiuti, la prevenzione riguarda qualcosa che ancora non è rifiuto e che, anzi, si intende evitare assolutamente che lo diventi.
Del resto, se da un lato si dovrà ritenere che la nozione di rifiuto non può essere interpretata sempre in senso restrittivo1 è anche vero che l’effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della Direttiva comunitaria 75/442/Cee (ora 2008/98/Ce) deve essere accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della Direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia2.
Quindi, poiché la definizione di rifiuto integra gli estremi di una norma di stretta interpretazione (quindi, non può essere applicata oltre l’ambito di applicazione previsto), qualificare come “rifiuto” un qualcosa che rifiuto non è rappresenta una palese violazione del principio gerarchico già individuato. Infatti, una sostanza o un oggetto che ben potrebbe rientrare nel circuito produttivo e che, invece, viene classificato come rifiuto, aumenta immotivatamente solo le quantità di rifiuti generate e da gestire. Si pensi, infatti, alla modalità di raccolta di cui è quesito; essa è comune a tutti gli operatori di settore. Se i contenitori fossero rifiuti, si giungerebbe all’assurdo che alla contabilità dei rifiuti censita dal Mud, ogni anno, ne mancherebbero all’appello migliaia di tonnellate.
Quindi, l’allungamento del ciclo di vita del prodotto rappresenta il primo e fondamentale apporto alla prevenzione della formazione dei rifiuti perché può svolgere ancora un ruolo utile per il soggetto di riferimento per il quale rappresenta ancora una utilità.
b) per questo motivo l’articolo 183, comma 1, lettera m), Dlgs 152/2006 (in modo pedissequo rispetto a quanto stabilito dall’articolo 3, n. 12, Direttiva 2008/98/Ce) fornisce la seguente definizione di “prevenzione”: “misure adottate prima che una sostanza, un materiale o un prodotto diventi rifiuto, che riducono: 1) la quantità dei rifiuti, anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l’estensione del loro ciclo di vita; 2) gli impatti negativi dei rifiuti prodotti sull’ambiente e la salute umana; 3) il contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti”;
Si ritiene pertanto che la lettura fornita dall’Organo di controllo, con riguardo alla definizione di rifiuto, di riutilizzo e di prevenzione, sia non condivisibile e destituita di ogni fondamento.
NOTE
(1) Cfr. Corte di Giustizia Ue 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e 419/97, Arco Chemie Nederland, punto 40; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, causa C-194/05, punto 33, nonché 24 giugno 2008, causa C-188/07, Commune de Mesquer, punto 39.
(2) Cfr. Corte di Giustizia Ue 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e 419/97, Arco Chemie Nederland, punti 73 e 88; 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, causa C-194/05, punto 41.
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