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Un altro mancato accordo sul Trattato globale sulla plastica

di Circularity

Data 02/09/2025
Tipo News

Il 15 agosto, la quinta sessione del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC-5.2) per un Trattato globale sulla plastica si è conclusa, per l’ennesima volta, senza un accordo. 

Nonostante 40 milioni di dollari già investiti negli ultimi tre anni di negoziati, i paesi sono ancora profondamente divisi sull’approccio da adottare per contrastare l’inquinamento da plastica. Si tratta di una battuta d’arresto significativa, che tuttavia chiarisce le sfide future e offre nuovi margini di manovra.

Come nei negoziati precedenti, due gruppi di paesi hanno espresso opinioni opposte su obblighi di riduzione della produzione di plastica, divieto di sostanze chimiche pericolose e finanza, spaccandosi di fatto in due grandi macro gruppi.

Lo stallo tra paesi ambiziosi e petrostati

Da una parte la “High Ambition Coalition”, che riunisce quasi 100 paesi, vuole un trattato con regole globali che regolino l’intero ciclo di vita della plastica: dal fissare un tetto alla produzione all’imposizione di obblighi vincolanti sugli additivi pericolosi. 

Dall’altra un gruppo più ristretto, i paesi del cosiddetto Like-Minded Group (paesi petrolchimici guidati da Arabia Saudita, con Iran, Iraq, India, Malaysia Russia, Marocco, Uganda, Cuba, Kazakistan), che auspicano un trattato globale sulla plastica da adottare su base volontaria, con disposizioni che riguardano soprattutto la gestione dei rifiuti, ovvero la fase del fine vita.

Accanto a questi ultimi si sono posizionati gli Stati Uniti, che secondo gli osservatori non ratificheranno mai l’accordo e che, come previsto, si sono opposti a introdurre limiti alla produzione.

C’è poi un terzo gruppo di paesi dei quali è stato più difficile capire la posizione. Tra questi il Brasile, che ha però espresso supporto per l’inclusione della salute umana nel trattato, e la Cina, che ha detto nella plenaria finale che “l’inquinamento da plastica è molto più complicato di quanto pensassimo, poiché riguarda l’intero ciclo di vita della plastica”.

Le due bozze rigettate

Durante i giorni di conclusione della sessione sono state diffuse due bozze, entrambe scritte dal presidente di INC Luis Vayas Valdivieso, entrambe rigettate perché non contenevano obblighi di riduzione della produzione, né un articolo dedicato alla salute umana.

Come riporta Materia Rinnovabile, Secondo un’analisi di CIEL, anche se fossero stati approvati, entrambi i testi avrebbero rappresentato una battuta d’arresto significativa ai negoziati. Il motivo? Entrambe non riuscivano ad affrontare adeguatamente la portata della crisi della plastica e facevano appello alle richieste sia degli stati petroliferi che dell’industria petrolchimica.

“Eppure, nell’arco di dodici giorni, gli stati membri hanno presentato decine di proposte di testo che hanno ottenuto un ampio sostegno dalla maggioranza degli stati membri”, ha scritto in una nota il Center for International Environmental Law. Ma, anziché essere integrate nel testo, sono state accantonate dalla presidenza, che ha preferito bozze di testo che si appellavano al minimo comune denominatore, accontentando gli stati petroliferi e i rappresentanti dell’industria che hanno travolto i negoziati”.

La Environmental Justice Foundation (EJF) ha poi calcolato una stima del numero di paesi (dai 57 ai 130) in supporto di varie proposte ambiziosi, tra cui sistemi di riuso liberi da prodotti tossici, riduzione della produzione, controllo delle sostanze chimiche, meccanismo per votare nell’ambito della Conferenza delle Parti, articolo sulla salute) che risulta nettamente superiore a quello dei paesi contrari (tra 20 e i 25).

I prodotti petrolchimici rappresentano il segmento in cui la domanda di petrolio cresce più rapidamente, responsabile del 75% dell’aumento complessivo. Con il calo della domanda di carburanti per i trasporti, il settore petrolchimico rappresenta per i Paesi produttori di petrolio una leva strategica.

Secondo Felix Philipp, Circular Economy and Materials Research Lead di Lombard Odier Investment Managers, il processo di negoziazione basato sul consenso ha di fatto garantito a ogni Stato un potere di veto, un approccio difficile in un contesto di frammentazione politica e istituzioni indebolite. I rappresentanti dell’industria hanno superato numericamente molte delegazioni nazionali, con i lobbisti dei combustibili fossili più numerosi della rappresentanza complessiva di tutti gli Stati membri dell’UE. Nel frattempo, la bozza del trattato è arrivata a includere quasi 1.500 sezioni con segnalazioni di disaccordo, quadruplicando il conteggio dall’inizio della settimana”, 

L’inquinamento da plastica oltre i rifiuti

L’inquinamento da plastica va ben oltre i rifiuti visibili. Le microplastiche si ritrovano ormai nei polmoni umani, nel sangue e persino nella placenta. Secondo stime di The Lancet, i costi sanitari annui ammontano a 1.5 trilioni di dollari a livello globale. Senza interventi, la produzione di plastica potrebbe raggiungere un miliardo di tonnellate annue entro il 2040.

Già oggi essa rappresenta il 5% delle emissioni industriali di gas serra, superando il settore aereo mentre il tasso globale di riciclo resta sotto il 10%. Ogni giorno si producono 1,1 milioni di tonnellate di nuova plastica, e l’equivalente di un camion della spazzatura finisce in mare ogni minuto. Questi dati dimostrano come la sola gestione dei rifiuti non sia sufficiente a risolvere il problema.

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