Quadruplicare entro il 2035 l’uso di combustibili definiti sostenibili: biogas, biocarburanti, idrogeno rinnovabile e a basse emissioni di carbonio, e-fuel ed e-metano. L’iniziativa “Belém 4X Pledge on Sustainable Fuels” lanciata da Italia, Brasile e Giappone con il sostegno dell’India, appena prima dell’inizio di COP 30 – la conferenza sul clima conclusa a Belem, in Brasile, il 22 novembre – ha lo scopo dichiarato di ridurre le emissioni di gas serra nei settori difficili da decarbonizzare come aviazione, trasporto marittimo, trasporto su strada e industria.
L’approccio per accelerare la transizione energetica, come ricordato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, deve essere “tecnologicamente neutro”, ovvero includere tutte le applicazioni, compresi i motori a combustione interna.
L’impegno di Belem rimane allineato a ciò che l’Italia ha sempre rivendicato a Bruxelles: il futuro dell’automotive non può essere solo elettrico. Nel nuovo accordo sul target intermedio di riduzione delle emissioni di CO₂ in Europa per il 2040 approvato dal Consiglio dell’Ue lo scorso 5 novembre, per la prima volta vengono inseriti i biocarburanti come soluzione di decarbonizzazione.
I produttori di biocombustibili come Germania e Italia spingeranno anche sul rinvio del divieto di vendita delle auto con motore a combustione per il 2035, atteso con la revisione del regolamento sulle emissioni di CO₂ dei veicoli.
Per rendere la tecnologia scalabile ci vogliono tuttavia investimenti adeguati: il Belém 4X Pledge on Sustainable Fuels punta proprio a sbloccare miliardi di euro in investimenti in infrastrutture, ricerca e sviluppo, in particolare per la costruzione di nuove bioraffinerie, impianti di produzione di idrogeno da elettrolisi e hub per la cattura e riutilizzo della CO₂.
I biocarburanti in Italia
Al momento la tecnologia più matura ed economicamente scalabile sono i biofuels. I biocarburanti sono dei combustibili ottenuti dalle biomasse, ovvero da fonti rinnovabili.
Esistono i biocarburanti di prima generazione, cioè quelli derivanti da materie prime rinnovabili come canna da zucchero, mais e grano, tutte colture potenzialmente utilizzabili a fini alimentari. Oppure di seconda generazione, cioè ottenuti partendo da biomasse provenienti da sottoprodotti e scarti agricoli.
In Italia di spazio per coltivare grandi quantità di materia prima rinnovabile non ce n’è, così si guarda all’estero, soprattutto in Africa. ENI ha recentemente ottenuto 75 milioni di euro per ampliare la sua produzione di oli vegetali per biocarburanti In Kenya. Sono previsti progetti in Repubblica democratica del Congo, in Mozambico, più due in fase di sviluppo in Costa d’Avorio e Rwanda. Secondo il governo italiano questa produzione decarbonizzerà non solo parte del parco auto circolante in Italia, ma anche alcune raffinerie. Quelle di Gela e Porto Marghera producono già biofuels, mentre a Livorno, Priolo San Nazzaro è in corso la riconversione.
I rischi derivanti dalla produzione di biocarburanti
Sebbene sia giusto abbandonare i combustibili fossili, i Paesi devono evitare che le loro strategie generino effetti collaterali indesiderati, come l’aumento della deforestazione a livello nazionale e globale. Raddoppiare la produzione di biocarburanti, senza adeguate salvaguardie, rischia di ampliare notevolmente le superfici destinate alle colture energetiche, con conseguente perdita di ecosistemi.
Oggi circa 40 milioni di ettari — un’area pari al Paraguay — sono già impiegati per coltivare materie prime per biocarburanti. Ma la pressione sul territorio è destinata a crescere: entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 10 miliardi e richiederà più cibo e più legname. Continuando con l’attuale ritmo di espansione agricola, entro il 2050 quasi un’area grande quanto l’India verrebbe sottratta alla natura per diventare terreno coltivabile. Rafforzare gli obblighi sui biocarburanti aggraverebbe ulteriormente questa dinamica.
La ricerca globale del World Research Institute evidenzia come l’espansione delle colture dedicate ai biocarburanti possa compromettere la sicurezza alimentare, la biodiversità e il clima. I biocarburanti che utilizzano terreni agricoli competono direttamente con la produzione alimentare e con gli sforzi di ripristino degli ecosistemi.
Poiché i prodotti agricoli sono scambiati sui mercati globali, politiche che ne aumentano la domanda tendono a far salire i prezzi e a incentivare la conversione di nuove terre. Entrambi gli esiti generano impatti negativi sull’ambiente e sulla disponibilità di cibo. Inoltre, molti modelli di contabilità del carbonio sottovalutano o ignorano del tutto le emissioni derivanti dal cambiamento d’uso del suolo associato ai biocarburanti.