Mesi di ricerche nelle fabbriche tessili in Cina e Bangladesh hanno evidenziato alla startup estone una costante realtà: il volume degli avanzi di produzione è sistematicamente sottostimato e sottovalutato. Nonostante le ottimizzazioni dei processi e i metodi di “produzione lean” (ndr, una filosofia produttiva che punta a minimizzare gli sprechi), oltre il 25% delle risorse (con picchi che arrivano fino al 47%) esce dalla catena di approvvigionamento, vale a dire 6 milioni di tonnellate di scarti ogni anno e un potenziale mercato di 15 miliardi di dollari. Di gran parte di queste risorse si perde traccia, finendo incenerite o abbandonate in discarica.
Il software di Reverse Resources, disponibile a partire dall’autunno 2019, mira a una migliore circolazione dei materiali e a integrare nel processo di produzione oltre il 20% degli scarti: attraverso uno schema di tariffazione alternativo, possono diventare un introito aggiuntivo per i produttori e un incentivo a rendere i propri dati disponibili a livello digitale. Una volta mappati, i tessuti possano essere rintracciati nei loro successivi cicli di vita.
La startup chiama in causa i diversi stakeholder del settore tessile: le fabbriche, da un lato, sono chiamate a fornire soluzioni di rigenerazione e riutilizzo degli scarti tessili recuperati, mentre gli acquirenti, i marchi del commercio al dettaglio, dall’altro, possono incentivare tale innovazione e il recupero dei materiali.
“Credo che lo scambio di dati online, sicuro e in tempo reale, sia la chiave per un cambiamento sistemico nel settore dell’abbigliamento verso la sostenibilità”, sostiene Ann Runnel, amministratore delegato e fondatore di Reverse Resources.
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