L’economia collaborativa o sharing economy, grazie al rapido sviluppo di internet e delle piattaforme digitali, rappresenta un fenomeno che sta suscitando l’attenzione di molteplici soggetti, istituzionali e non, in virtù specialmente delle opportunità poste da una sua rapida espansione. Ad oggi trovare una definizione univoca di sharing economy risulta alquanto complesso: tra le più autorevoli si può riportare quanto contenuto nella comunicazione COM (2016) 356 in cui si definisce quest’ultima come “[…] l’insieme di nuovi modelli imprenditoriali le cui attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi […]”. Secondo invece una seconda definizione proposta invece da Frenken et al. (2015) la stessa viene definita come modello attraverso il quale “i consumatori si concedono reciprocamente l’accesso temporaneo a beni fisici sottoutilizzati possibilmente in cambio di denaro”. A partire da tali definizioni, il concetto è stato esteso divenendo piuttosto generale e applicabile ad una molteplicità di situazioni inerenti alle attività di scambio di beni o servizi. Secondo però quanto emerge specialmente dalla prima delle due proposte, la sola condivisione, non sarebbe un elemento sufficiente per la definizione di modelli di sharing economy, o comunque le attività così definite non sarebbero in grado da sole di modificare radicalmente le classiche dinamiche inerenti alla fruizione di beni o servizi. Perché quindi si possano manifestare veri e propri esempi di sharing economy, un prerequisito fondamentale è rappresentato dall’utilizzo di internet e più nello specifico delle piattaforme digitali, le quali hanno il compito in questo quadro di facilitare le interazioni e gli scambi, tra soggetti privati.
Facendo sempre riferimento a quanto riportato dalla comunicazione della Commissione europea, è utile identificare chi sono i protagonisti di questo nuovo modello economico, per poter definire i quali è necessario però prima distinguere le possibili interazioni che possono generarsi, nell’ambito della stessa. Un primo esempio è riconducibile al classico modello business to consumer (B2C), attraverso il quale un soggetto professionista, viene messo in contatto con un consumatore interessato alla fruizione di un bene o servizio. La seconda tipologia d’interazione è invece riconducibile al modello business to business (B2B), in cui entrambe le parti in causa, risultano essere delle attività imprenditoriali. Ultima categoria è infine la relazione “più classica” dell’economia della condivisione, ovvero la relazione consumer to consumer (C2C) dove i soggetti che vi partecipano sono tra loro posti allo stesso livello (peer).
Come si può intuire da questa breve panoramica delle possibili interazioni, è sempre possibile identificare tre soggetti operanti nell’ambito della sharing economy, quali il prestatore di servizi, la piattaforma e l’utente a cui se ne può sommare uno caratteristico di tale modello ovvero il prosumer. Il consumatore infatti non rappresenta più un soggetto prettamente passivo, che fruisce dei beni e servizi offerti: quest’ultimo risulta a tutti gli effetti un soggetto attivo in quanto in grado sua volta di produrre beni, servizi e informazioni che possono essere messi a disposizione online, divenendo a sua volta punto di partenza per ulteriori interazioni e scambi con nuovi soggetti.
Opportunità e criticità della sharing economy
Il modello così delineato rappresenta sicuramente una grande opportunità di sviluppo per l’intera economia europea, in quanto offre possibilità in termini di ampliamento dell’offerta di servizi, di abbassamento dei prezzi e di promozione dell’occupazione. Inoltre, alla luce degli obiettivi posti a livello comunitario in materia di sostenibilità, la sharing economy promuovendo la condivisione e l’utilizzo più efficiente delle risorse, se correttamente implementata può rappresentare un valido strumento di supporto per la riconversione in ottica di economia circolare, dell’intero sistema Europeo.
Secondo alcuni numeri reperibili sul settore, si evince come quest’ultimo sia ancora di modeste dimensioni nonostante stia conoscendo una rapida crescita specialmente negli ultimi anni: nel solo 2015 le entrate totali dell’economia condivisa ammontavano a oltre 3,6 miliardi di euro (pari a circa lo 0,2% del PIL europeo), facendo registrare un ritmo di crescita annua del 25% che potrebbe portare il settore, al raggiungimento di 83 miliardi di ricavi già nel 2025. Anche dal lato dei consumatori si evidenziano alcuni numeri, che testimoniano l’interesse verso le opportunità poste dall’economia collaborativa: secondo infatti quanto riportato dall’indagine Eurobarometro 438 del 2016, il 42% degli intervistati considera i servizi “condivisi” più pratici, a cui si aggiunge un ulteriore 33% che apprezza la maggiore economicità degli stessi.
Nonostante i molteplici benefici, qui brevemente descritti, connessi allo sviluppo di tali pratiche di condivisione, quest’ultime non sono però esenti da alcune potenziali barriere allo sviluppo e criticità. In merito agli ostacoli, il principale è rappresentato sicuramente dallo sviluppo tecnologico e nello specifico dall’accessibilità ad internet e alla banda larga. Se per quanto riguarda il primo aspetto la situazione generale a livello comunitario risulta particolarmente positiva (secondo i dati Eurostat aggiornati al 2019, l’89% delle famiglie in Europa è dotata di accesso ad Internet) sul fronte della banda larga invece, nonostante si registri anche in questo caso un miglioramento generale della copertura, molti degli obiettivi comunitari al 2020 fissati su questo tema, verranno probabilmente disattesi. Poiché lo sviluppo di una infrastruttura digitale affidabile risulta centrale per lo sviluppo di iniziative di sharing economy, appare quindi evidente la necessità di continui investimenti su questo fronte.
Per avere una piena comprensione del fenomeno della sharing economy, devono essere inoltre considerati i possibili rischi che i nuovi modelli imprenditoriali, a seguito della rapida crescita e della mancata regolamentazione, potrebbero avere sui più tradizionali sistemi di produzione e consumo nonché sulle realtà aziendali ad essi associati. Innanzitutto, emergono alcune questioni rilevanti sul fronte dei diritti dei consumatori, la trasparenza delle informazioni fornite e la riservatezza dei dati personali. Esistono poi dei rischi associati alla riduzione degli standard minimi, rispetto a quelli in vigore per servizi analoghi e offerti da professionisti. In materia di standard minimi bisogna inoltre ricordare che, i nuovi modelli collaborativi, stanno generando un forte impatto sul mercato del lavoro e sui rapporti di lavoro che si vengono a creare tra le piattaforme digitali e i salariati, con il rischio spesso e volentieri di pregiudicare l’equità delle condizioni di lavoro di quest’ultimi. Lo sviluppo dei servizi di sharing economy è stato inoltre accompagnato in alcuni settori dallo sviluppo di fenomeni di concorrenza sleale e creazione di nuovi monopoli, che rappresentano un evidente rischio per il corretto funzionamento del mercato comune europeo. Per ultimo, la mancanza di regolamentazione che accompagna il settore, ha determinato l’insorgere di alcune minacce connesse alla difficoltà nell’adempimento degli obblighi fiscali, nonostante la maggiore tracciabilità delle transazioni economiche che si registrano sulle piattaforme collaborative.
I tentativi di interventi normativi in Italia
Ad oggi il quadro normativo comunitario evidenzia l’assenza di una vera e propria disciplina sul tema. Analogamente anche nel nostro ordinamento, si evidenziano delle lacune normative, su cui si è tentato di intervenire mediante alcune proposte (che però non hanno mai visto la luce) volte a regolamentare un settore dai confini ancora poco chiari.
Un esempio in tal senso, lo si deve alla proposta di legge n. 3546 del 27 gennaio 2016 in tema di “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione”. In essa oltre ad essere contenuta una propria definizione di sharing economy, che non si discosta di molto da quelle citate in precedenza, si prevede la regolamentazione delle piattaforme digitali, mediante l’introduzione di un regime autorizzatorio, subordinato alla predisposizione di un documento di politica aziendale per regolamentare i rapporti tra gestori ed utilizzatori delle stesse. Si prevede inoltre che, il suddetto documento, venga successivamente sottoposto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) alla quale spetterà il compito di iscrivere i soggetti ritenuti idonei in un apposito registro elettronico e il controllo di eventuali incongruenze e violazioni normative.
Altro aspetto toccato dalla proposta sopra citata, riguarda un tema particolarmente spinoso quando si parla di sharing economy ovvero la fiscalità. Più precisamente nella proposta si individua una soglia di 10.000 euro sotto i quali l’imposta sugli introiti generati dalle piattaforme verrà fissata al 10%, mentre al di sopra di tale soglia, il reddito sarà cumulato con i redditi del lavoro dipendente o autonomo con applicazione dell’aliquota corrispondente. Per ultimo, al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione dell’economia della condivisione, il testo prevede inoltre l’adozione di specifiche misure annuali che incentivino le pratiche di condivisione: in particolare le risorse finanziare necessarie per tali iniziative, saranno reperite tramite i proventi dell’attuazione della proposta di legge e verranno destinate a corsi di formazione, aggiornamento, convegni, congressi o al finanziamento di politiche di innovazione tecnologica.
Nonostante a livello comunitario non si osservino, come precedentemente citato, veri e propri interventi normativi sul settore, può essere però interessante valutare se e come i contenuti della proposta di legge italiana, soddisfino i requisiti che secondo quanto previsto dalla comunicazione europea COM (2016) 356, dovrebbero essere considerati nello sviluppo delle future normative nazionali in materia di sharing economy. Un primo aspetto toccato da quest’ultima, riguarda i requisiti di accesso al mercato europeo, da parte dei nuovi soggetti operanti nell’ambito dell’economia collaborativa: il rilascio di apposite autorizzazioni dovrebbe essere previsto solamente in casi strettamente necessari quali la tutela dell’interesse pubblico e dunque, i soggetti quali le piattaforme, dovrebbero esservi soggette solamente nel caso svolgano un ruolo attivo e non solamente da intermediario tra diversi soggetti. Su questo fronte la proposta di legge italiana risulta essere allineata, in quanto in caso di conversione della legge è prevista l’istituzione di un apposito iter autorizzativo per esercitare la propria attività di condivisione.
Come visto il tema della fiscalità rappresenta un tema che desta particolari preoccupazioni, e dovrà necessariamente essere affrontato al fine di garantire una corretta regolamentazione delle attività collaborative: i prestatori di servizi operanti sulle piattaforme digitali verranno progressivamente obbligati ad una maggiore trasparenza verso gli utenti; saranno tenuti a pagare le imposte così come definite dai rispettivi ordinamenti nazionali e dovranno inoltre cooperare con le autorità nazionali per facilitare la riscossione delle stesse. Anche su questo fronte, la proposta elaborata a livello nazionale, sembrerebbe seguire quanto raccomandato a livello comunitario, con la necessità però di ulteriori approfondimenti in merito al rispetto dei principi di proporzionalità della tassazione previsto dal nostro ordinamento. Per concludere, il documento elaborato dalla Camera non è però esente da alcune carenze, che riguarderebbero nello specifico la valutazione dell’adeguatezza della normativa nazionale sul lavoro, alla luce dei nuovi modelli imprenditoriali proposti dalla sharing economy.
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