Rivista Rifiuti n.275
Tenere insieme le cose. Quelle da dire e quelle da fare. Perché le cose non sono divise. Mai. Anche quando si parla di economia circolare.
Oggi, invece, piace perdersi in rivoli verbosi e un certo autocompiacimento estetico, scivolando nei massimi sistemi dell’ovvio: meglio risparmiare che sprecare.
Un mantra che si è trasformato in una litania, la cui lagnosità mostra come sia difficile tenere insieme le cose da dire e da fare. Senza End of Waste l’economia circolare non esiste. Eppure di detto è stato detto fin troppo, di fatto è stato fatto quasi nulla. Si discute e basta, come se tutti ci si sentisse offesi e ci si fosse ritirati in una specie di disfatta, senza nessuna voglia di tirarsene fuori. Una voragine di infelicità.
Si fa quello che non serve o che non serve ancora e non si fa quello che, invece, serve assolutamente ora.
È il caso del “plastic free” e della dismissione anticipata della commercializzazione e uso della plastica dove i tempi sono dettati dalla direttiva europea 2019/904 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica nell’ambiente. La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 3 luglio 2021 e solo a decorrere da quella data “gli stati membri applicano le disposizioni necessarie per conformarsi” (articolo 5).
Nonostante manchino ancora due anni, alcune ordinanze di Sindaci (Santa Flavia e Trapani in Sicilia; Teramo in Abruzzo e Andria in Puglia) e una della Regione Puglia hanno già vietato l’uso della plastica monouso non compostabile e/o non biodegradabile.
I Tar competenti, aditi dalle imprese e dalle associazioni di settore, hanno risposto sospendendo i provvedimenti (a eccezione di quello abruzzese). I Giudici amministrativi hanno posto a fondamento delle loro decisioni l’assenza di base normativa di riferimento. Il Tar pugliese ha motivato le sue decisioni con il limite di competenza legislativa sull’implementazione della nuova Direttiva Ue sulle plastiche monouso, che produce riflessi su concorrenza e restrizioni al mercato. Temi spettanti allo Stato e non alle Regioni anche se dotate di potestà legislativa concorrente. È anche inevitabile chiedersi come gli 850 chilometri di costa pugliese avrebbero potuto essere controllati per verificare se davvero i bagnanti usassero posate e cannucce in plastica non biodegradabile. La tutela ambientale è il risultato di un conflitto tra interessi divergenti e contrapposti. Come si può pretendere che un’ordinanza funzioni in un paese dove il 28% della popolazione è affetta da analfabetismo funzionale, occupando così il primo posto in Europa? L’analfabeta funzionale pur essendo in grado di capire testi molto semplici, non riesce a elaborarne e utilizzarne le informazioni. Ha più di 55 anni, è poco istruito e svolge professioni non qualificate. Oppure è giovanissimo, vive in casa dei genitori senza lavorare né studiare. O, ancora, proviene da famiglie dove sono presenti meno di 25 libri. È quanto emerge da una recente indagine Ocse che, su 33 paesi a livello mondiale, vede l’Italia tra i peggiori, seguita solo da Indonesia, Cile e Turchia. Come pretendere che un’ordinanza dissuada dall’uso del piatto di plastica rimane un mistero. Senza la tessitura paziente degli impegni e senza tradurre i diritti in obblighi sarà impossibile qualsiasi forma di tutela.
Occorre risalire la china, andare a ritroso e ricominciare a guardare le tessere smarrite di un sistema educativo, scolastico e familiare, che non ha funzionato.
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