Dal 1° gennaio 2025 la raccolta differenziata dei prodotti tessili in Europa è diventata obbligatoria per legge in tutti i paesi membri. L’ultima analisi dell’organismo di vigilanza ambientale EIONET, datata maggio 2024, mostra che solo 11 paesi disponevano di sistemi di raccolta differenziata obbligatori, mentre 14 hanno introdotto iniziative volontarie.
L’Italia nel 2022 ha deciso di giocare d’anticipo ed è stata il primo paese a farlo. Ma in questi due anni il tasso di raccolta è tutt’altro che decollato. Siamo il paese che immette sul mercato il maggior numero di prodotti tessili a livello europeo, con 23 kg per abitante ogni anno.
E secondo le stime di ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, solo il 20% dei rifiuti tessili viene raccolto. Quello che manca all’Italia e agli altri paesi è un quadro chiaro per il riciclo e il recupero dei materiali tessili, ossia dei criteri per capire cosa è rifiuto e cosa no. Criteri che dovrebbero arrivare dalla revisione della direttiva europea sui rifiuti, in discussione in primavera a Bruxelles.
In attesa di un EPR tessile
Mai come ora, con il crescente consumo di prodotti fast fashion che ostacolano la transizione circolare del settore tessile, l’Italia ha bisogno di un sistema EPR (responsabilità estesa del produttore). Un modello fondato sul principio del “chi inquina paga” che responsabilizza i produttori nella gestione di tutto il ciclo vita dei prodotti tessili immessi sul mercato, potenziando le attività di raccolta, riutilizzo e riciclo.
L’istituzione di un EPR multi-consortile implica un cambio di paradigma radicale il cui testo di decreto, però, non mette ancora d’accordo tutti gli attori della filiera. In primis i comuni e le cooperative sociali e non, che da tempo gestiscono la raccolta e il riutilizzo degli indumenti.
La raccolta dei prodotti tessili non decolla
Dati Ispra alla mano i comuni, tramite enti gestori e cooperative, hanno intercettato circa 171.000 tonnellate nel 2023. Una decina di migliaia in più rispetto all’anno precedente. Tuttavia il tessile rappresenta ancora solo lo 0,9% della raccolta differenziata totale.
Oggi il sistema di raccolta, principalmente dedicato agli abiti usati, è finanziato dal mercato del second hand, con la vendita dell’usato che sostiene le attività di raccolta. Fino a ora, questo schema non ha comportato costi per i comuni. Tuttavia, si sta verificando una migrazione verso prodotti di bassa qualità e basso costo, che difficilmente potranno essere venduti come abiti di seconda mano. Se gli indumenti non sono riutilizzabili, non possono essere venduti, e senza incassi il sistema non può reggere.
Tra i comuni trapela la preoccupazione che l’inclusione dei produttori nelle attività di raccolta possa ridurre le risorse a disposizione degli operatori del riutilizzo, rischiando di compromettere la qualità e la quantità del materiale raccolto. Inoltre, la tendenza a raccogliere il materiale attraverso modalità uno-contro-uno nei negozi potrebbe impoverire ulteriormente i flussi di raccolta, con i comuni che potrebbero dover essere indennizzati per coprire i costi aggiuntivi.
In Italia, attualmente, solo 2 prodotti tessili su 10 vengono raccolti in modo differenziato. Secondo i produttori, il lavoro delle imprese del riutilizzo dovrebbe essere affiancato da una maggiore capacità di raccolta e riciclo, sempre nel rispetto della gerarchia dei rifiuti. Per quanto riguarda il consorzio Cobat Tessile, si sottolinea l’urgenza di istituire un sistema di responsabilità estesa del produttore per avviare una filiera dedicata al riciclo, visto che oggi solo l’1% delle fibre riciclate è utilizzato per nuovi capi.
Le cooperative sociali, invece, evidenziano il proprio ruolo fondamentale nell’economia circolare, mettendo in evidenza che il riutilizzo deve essere considerato prioritario. Da anni, queste cooperative lavorano per prevenire lo smaltimento dei vestiti in discarica o l’incenerimento, offrendo anche opportunità lavorative a persone svantaggiate.