Volendo dare una definizione di finanza sostenibile, ci si scontra con un concetto alquanto ampio e complesso, in quanto essa può essere definita come l’allineamento del sistema finanziario ai principi fondanti il concetto di sviluppo sostenibile. Nella pratica, tale allineamento, si traduce nell’adozione da parte dell’attuale settore finanziario, la cui principale strategia d’azione è votata unicamente al raggiungimento del profitto, verso un approccio olistico in cui vengano prese in considerazione non solamente le ricadute economiche bensì anche quelle sociali e ambientali, generate dalle attività finanziarie.
Come più volte ribadito, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile deve essere frutto di uno sforzo condiviso, a cui vengono chiamate a contribuire anche le realtà aziendali. Si comprende quindi come, la transizione verso una maggiore sostenibilità, necessiti nel mentre una riconversione del settore finanziario, in quanto quest’ultimo ha il delicato compito di reindirizzare i flussi di capitale verso le aziende e le attività maggiormente coinvolte nel raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030. L’indirizzamento delle decisioni d’investimento verso tali attività, la revisione delle modalità e dei criteri attraverso cui vengono operate le scelte d’investimento, oltre a generare dei possibili benefici in termini sociali ed ambientali, rappresenta un’opportunità anche per gli investitori i quali, potrebbero così ridurre gli impatti negativi dei propri investimenti, rispondere alle mutate esigenze e preferenze dei consumatori, riducendo al contempo la propria esposizione ai rischi posti dalle sfide ambientali di questo secolo e che, ad oggi rappresentano, una delle principali fonti di preoccupazione del settore finanziario.
I prodotti, i partecipanti e i numeri della finanza sostenibile
La creazione dei primi prodotti finanziari “sostenibili”, risale ai primi anni 2000 a seguito delle iniziative dell’European Investment Bank (BEI) e della World Bank. I prodotti sviluppatisi sulla scia di tali iniziative, uniscono due filosofie d’investimento: l’approccio “tradizionale” incentrato unicamente al ritorno finanziario dell’investimento determinato dalla rischiosità dello stesso (la quale viene tipicamente valutata mediante apposito rating) e l’approccio delle donazioni filantropiche, le quali risultano particolarmente focalizzate sugli impatti sociali e ambientali.
Ad oggi sul mercato finanziario si possono ritrovare diversi prodotti finanziari sostenibili riconducibili a due principali macrocategorie: i Sustainable Bonds e i Sustainable Loans. I primi vengono definiti come obbligazioni emesse da istituti finanziari, organizzazioni, municipalità, paesi, con lo scopo di finanziare progetti con impatti positivi su ambiente (Green Bond) e società (Social Bond); i secondi sono invece prestiti concessi dalle banche e collegati a criteri di sostenibilità. Dando uno sguardo ai numeri del settore ad oggi, sulla base delle stime diffuse dal Bloomberg New Energy Finance nel 2019, il “debito sostenibile” (definizione che racchiude i molteplici strumenti finanziari collegati a criteri di sostenibilità), ammonterebbe globalmente a 465 miliardi di dollari, facendo registrare un incremento rispetto all’anno precedente del 78%. Ruolo di primaria importanza è giocato dai Green Bond, i quali rappresentano oltre la metà del mercato dei prodotti sostenibili (con un valore delle emissioni nell’anno oggetto del report pari a 271 miliardi di dollari). Al secondo posto, seguono i cosiddetti prestiti collegati a criteri di sostenibilità (Sustainability-linked loans), i quali raggiungendo un valore pari a 122 miliardi di dollari, facendo registrare nel solo 2019 un incremento del 168% rispetto alle performance dell’anno precedente.
Il mercato finanziario sostenibile, in cui vengono scambiati i prodotti precedentemente descritti, presenta innumerevoli analogie con quello “tradizionale”, sia in termini di funzionamento sia in virtù degli attori in gioco, tra cui è possibile ritrovare:
I soggetti che ricercano capitale (capital seekers) che possono essere suddivisi in issuers e borrowers in base allo strumento finanziario (Bond o Loan) impiegato per la raccolta dei fondi;
Gli investitori ovvero i soggetti che interessati all’acquisto dei prodotti finanziari o i soggetti prestatori, tra cui si possono ritrovare singoli individui, banche pubbliche o private, governi;
Regolatori e policy maker, che definiscono le regole per garantire il corretto funzionamento del mercato finanziario e che, nell’ottica della transizione verso un mercato finanziario sostenibile, hanno il compito di determinare le modalità per incorporate le tematiche di sostenibilità nei mercati finanziari mediante lo sviluppo di policy;
Revisori esterni, quest’ultimi sono i soggetti che hanno il compito di supportare gli investitori nelle scelte d’investimento, assicurando la credibilità dei prodotti finanziari in termini di sostenibilità e valutando se, tali prodotti, sono allineati con gli standard di settore e la normativa esistente.
Nonostante i numeri incoraggianti del settore, le transazioni che si registrano su tali mercati rappresentano ancora una piccola percentuale rispetto a quelle registrate globalmente sui mercati tradizionali. Tale situazione è innanzitutto riconducibile al fatto che, nel mercato attuale, prevalgono ancora delle logiche di investimento focalizzate principalmente sul breve periodo, che mirano quindi al ritorno dell’investimento nel minor tempo possibile. A questa condizione si aggiunge lo sviluppo ancora in essere di policy, regolamentazioni e linee guida, che permettano di avere un quadro comune in grado di determinare quali attività e investimenti possano realmente considerarsi sostenibili.
La tassonomia UE secondo il Regolamento 2020/852
Il 14 gennaio 2020 la Commissione Europea, come ormai noto, ha presentato il piano d’investimenti del Green Deal europeo e del meccanismo per una giusta transizione, strumento questo che dovrà essere impiegato per la radicale trasformazione dell’economia europea. Nello specifico il piano d’investimenti dovrà servire al conseguimento degli ambiziosi obbiettivi europei in materia di ambiente e, in particolare, il raggiungimento della neutralità climatica entro la metà del secolo. Per comprendere il livello della sfida che l’Unione Europea si è posta, basti pensare che quest’ultimo obiettivo da solo (secondo le stime della stessa Commissione) necessiterà la mobilitazione di oltre 260 miliardi di euro l’anno, solamente per centrare i target intermedi fissati per il 2030.
In questo quadro, la mobilitazione di capitali pubblici e privati, dovrà essere indirizzata verso attività che effettivamente contribuiscano al raggiungimento dei suddetti obbiettivi. Come precedentemente descritto però, la finanza sostenibile, manifesta ancora alcuni elementi di debolezza cronica quali la mancanza di linee guida comuni che permettano, in primo luogo, di individuare le attività che contribuiscano in maniera tangibile sul fronte della sostenibilità e, in secondo luogo, di indirizzare i flussi di capitale verso tali operazioni.
Con il Regolamento UE 2020/852 del 18 giugno 2020, il Parlamento e il Consiglio Europeo, sono intervenuti sul tema istituendo a livello comunitario un quadro di riferimento che permetta l’identificazione, sulla base di specifici criteri, delle attività economiche considerabili sostenibili, permettendo altresì di determinare il grado di sostenibilità di un investimento. Ai sensi del regolamento i destinatari, sono rappresentati in primo luogo dal mondo della finanza sostenibile tra cui si ritrovano i soggetti che offrono prodotti finanziari nell’Unione Europea, in quanto essi saranno tenuti a dichiarare per ogni prodotto, in che misura gli investimenti sottostanti sono allineati con i criteri previsti dalla tassonomia; in secondo luogo anche i governi saranno interessati dal nuovo quadro normativo che va delineandosi poiché, in futuro, tale strumento verrà impiegato come base per l’attribuzione degli incentivi europei; infine le aziende che, soggette alla direttiva inerente la rendicontazione delle informazioni non finanziarie, saranno tenute a fornire informazioni sulle loro attività con riferimento alla tassonomia UE.
Cuore del regolamento, come brevemente accennato in precedenza, risiede nei criteri di ecosostenibilità delle attività economiche. Nello specifico ai sensi dell’articolo 3 un’attività può definirsi “sostenibile” se:
- Non arreca un danno significativo a nessuno degli obiettivi sopracitati, considerando il ciclo di vita dei prodotti e dei servizi forniti dall’organizzazione;
- Contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più obiettivi ambientali previsti all’articolo 9 quali la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine, la transazione verso un’economia circolare, la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento, la protezione e il ripristino della biodiversità degli ecosistemi;
- Viene svolta nel rispetto delle garanzie sociali minime previste dall’articolo 18 del suddetto regolamento.
La piena operatività della tassonomia verrà assicurata mediante degli appositi atti delegati, che verranno pubblicati e adottati dalla Commissione: questi conterranno i criteri tecnici da impiegare per la selezione delle attività da considerare sostenibili, sulla base dei principi enunciati dal Regolamento UE. Per i criteri relativi a mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, la loro pubblicazione è prevista già per la fine di dicembre dell’anno corrente. La Commissione nell’elaborazione dei criteri tecnici verrà supportata dalla piattaforma sulla finanza sostenibile, un organo composto da esperti del mondo accademico, della società civile e del settore privato, che inoltre svolgerà il compito di supporto nella fase di ulteriore implementazione della tassonomia UE.
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