La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) è una direttiva che norma le responsabilità delle grandi aziende in relazione agli impatti negativi concreti e potenziali sull’ambiente e sui diritti umani delle proprie attività di impresa, delle società controllate e lungo tutta la catena del valore. Dopo una serie di rinvii, bocciature e compromessi, il 15 marzo il testo della CSDDD ha ricevuto finalmente l’approvazione dal Comitato dei Rappresentanti permanenti del COREPER, organo che elabora accordi successivamente sottoposti al Consiglio europeo. Il prossimo step dell’iter legislativo della CSDDD prevede infatti l’adozione formale del testo da parte del Consiglio Ue.
Quante imprese riguarda la CSDDD
Nel mirino della direttiva ci sono tutte quelle imprese che contano oltre 1.000 addetti e un fatturato mondiale superiore a 450 milioni di euro.
Un aspetto da sottolineare è che ciascuna di queste aziende dovrà adottare misure adeguate per individuare, prevenire e arrestare e/o minimizzare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente, non solo causati dalle proprie attività, ma anche dalla catena di approvvigionamento.
La proposta della direttiva ha subito diverse modifiche durante il suo iter di approvazione. Il Consiglio, a causa della forte opposizione di 14 Stati membri tra cui l’Italia, ha innalzato le soglie per l’applicazione delle norme, da 500 a 1000 dipendenti, e da 150 milioni a 300 milioni di fatturato. Decisione che non è piaciuta a Hannah Storey, Policy Advisor on Business and Human Rights di Amnesty International che ha dichiarato: “Ora la direttiva verrà applicata solo alle imprese più grandi, il che significa che quasi il 70% delle aziende che sarebbero state coperte nella precedente bozza saranno ora esentate”. Le norme riguarderanno quindi solamente lo 0,05% del numero totale di imprese che operano nell’Unione europea.
“Il comportamento del Consiglio e degli Stati membri negli ultimi mesi è stato riprovevole e dannoso per la credibilità del processo decisionale dell’UE”, ha dichiarato Heidi Hautala, vicepresidente del Parlamento Europeo – Invece di rispettare l’accordo di trilogo di dicembre, che già rappresentava un compromesso equilibrato, gli Stati membri si sono impegnati in una serie infinita di mercanteggiamenti e tentativi dell’ultimo minuto di indebolire la legislazione.”
Le reazioni dell’industria
Circa un mese prima del voto del COREPER, la confederazione delle imprese europee Business Europe aveva inviato al comitato un documento che raccoglieva tutte le istanze industriali. Tra le esigenze Business Europe sottolinea la necessità di garantire un’armonizzazione nella ormai prossima fase di recepimento della direttiva. Questo per impedire il rischio di frammentazione del Mercato Unico. Inoltre, la confederazione chiedeva di bilanciare le disposizioni in materia di sanzioni e responsabilità civile, dal momento il testo di dicembre prevede sanzioni alle aziende inadempienti fino al 5% del loro fatturato netto mondiale. Richiesta parzialmente accolta, dato che con l’approvazione del testo del 15 marzo sono state rimosse le clausole relative alla responsabilità civile. Clausole che avrebbero permesso ai sindacati di avviare azioni legali contro le aziende non conformi.
In un’intervista concessa a Materia Rinnovabile, Alessandro Asmundo – Senior Policy Officer del Forum per la Finanza Sostenibile -ha smorzato le preoccupazioni dell’industria, ricordando che la direttiva obbliga le aziende a fare tutto il possibile per minimizzare gli impatti negativi, ma non impone nessun risultato o target specifico. La sanzione massima del 5% è infatti prevista unicamente nel caso di gravi violazioni e non è correlata al mancato raggiungimento di un obiettivo.