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Editoriale – Settembre 2020

di Paola Ficco, “Avvocato - Giurista ambientale e Direttore della Rivista RIFIUTI

Data 02/09/2020
Tipo Editoriale
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Nell’incertezza sanitaria ed economica e, quindi, sociale che il Covid-19 porta con sé ci proiettiamo verso la fine di questo terribile anno 2020 con un misto di incredulità e consueta faciloneria. Nell’estiva melassa mediatica fatta di invasioni, pandemia, fughe, malattie, scandali, segreti, tira e molla sui treni, viaggi aerei pagati e annullati, banchi con le rotelle, mascherine sì mascherine no, occorre un soffio d’aria, un po’ di attenzione e maggiore cura nel pensare e nell’agire. In altri termini, una strategia.
Il disegno di legge di iniziativa governativa recante il “Green new deal e transizione ecologica del Paese” (cd. “Collegato ambientale 2020”) potrebbe assolvere, in parte, a questo difficile compito. Con i suoi dodici titoli e 105 articoli, induce un certo ottimismo nell’approccio, superato il quale, però, si abbandona ogni speranza di coerenza e ci si trova in uno svariato coacervo di disposizioni che spaziano dalle bonifiche alla partecipazione dei cittadini in materia ambientale e alla Via, dalle garanzie finanziarie all’utilizzo di beni demaniali nelle aree protette, dalle modifiche alla legge sul Sistema agenziale alle misure fiscali a sostegno di Emas, dalle modifiche alle discariche alla prevenzione della produzione dei rifiuti nei supermercati.
Una pioggia di interventi che ha l’ambire di sistemare tante lacune e tanti problemi. Vedremo, ma dopo oltre tre decenni nei quali in Italia si parla (troppo e male) di ambiente, sarebbe stata interessante una visione integrata di politica ambientale capace di individuare i “driver” sui quali correre. L’Europa ha programmi di azione, strategie orizzontali, cooperazione, monitoraggio del diritto ambientale. L’Italia butta tutto in un calderone dove c’è del buono e del gramo. Qualcosa succederà.
Un altro treno sul quale correre, un altro strumento con il quale si dissimula il disordine per simulare ordine. Dalla manifestazione negazionista del Covid 19 dello scorso luglio a Berlino a chi, invece, lo teme e spera nel vaccino annunciato, negato, ri-annunciato: Shakespeare direbbe “Tutto il mondo è teatro” e sarebbe divertente se non ci fosse la scia di sangue lasciata durante il confinamento primaverile.
L’Italia è, ormai, un pugile suonato, priva di reattività cognitiva; forse bisogna iniziare a chiedersi perché. Abbiamo pochi laureati e quelli che ci sono raramente provengono da quei percorsi formativi che li rendono capaci di duttilità e prospettiva per operare in uno scenario globale sempre più imprevedibile. Sono quei percorsi che impartiscono il sapere classico di belle lettere e filosofia, tanto più preziosi perché sempre più rari. Forse è da questa incolmabile voragine che, dopo un primo responsabile hashtag #restateacasa, sono nate le cascate di regole, figlie di una mostruosa burocrazia priva di senso della realtà, che ha raggiunto il suo apice nel corto circuito di inizio agosto su treni aperti-treni chiusi. Avrebbe potuto nascere da qui il diverso hashtag #restateacasaperchénonsappiamocosafare. Il binario morto sul quale corre l’Italia della Cassa integrazione e dove si incontrano gli spettri di un paese che fu, lo schema del “Collegato ambientale 2020” prevede l’esenzione dalle spese di giustizia e dalle imposte di bollo a favore delle associazioni di protezione ambientale per i giudizi in materia ambientale.
Questo (si legge nella relazione tecnica) per attuare i “principi dell’ordinamento europeo e internazionale sul diritto di accesso alla giustizia”. Ci vorrebbe prima un collegato per la giustizia per riaprire i Tribunali che in Italia sono chiusi da mesi e l’arretrato è spaventoso.
Don De Lillo nel suo “Rumore bianco” chiamerebbe tutto questo un “chiacchiericcio di anime morte ai margini di un sogno”. La crisi del oronavirus ha accelerato la formazione di un nuovo collettivismo che nasce dall’incontro tra egualitarismo, protezionismo, welfare, comunitarismo ed ecologia. Ne deriva un ibrido fondato su un malinteso concetto di bene comune che Carlo Lottieri nel suo “Beni comuni, diritti individuali e ordine evolutivo” analizza in modo pragmatico e rigoroso dove il bene comune non è un’alternativa alla proprietà, ma una sua forma
specifica. Gli spunti sono molti e il pensiero è forte. Da non perdere.
La crisi del Coronavirus, ha anche indotto una minore ansia consumista, quella che ha affidato agli oggetti il ruolo di riempire il vuoto di idee e di aspirazioni. Vacilla così il pilastro postmoderno della vivacità occidentale che ora sbeffeggia i suoi dolenti errori, gli stessi che le danno alimento.


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