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Finanza sostenibile, tutto quello che c’è da sapere sui Green Bond e gli investimenti verdi nel 2022.  

di Circularity

Data 12/11/2021
Tipo News

Per finanza sostenibile si intende l’insieme di strumenti ed investimenti che hanno come obiettivo lo sviluppo economico sostenibile e che minimizzino l’utilizzo delle risorse così come l’impatto ambientale. Non si tratta dunque soltanto di progetti finanziari legati al clima, conosciuti come climate finance (un sottogruppo della finanza green) ma di un insieme eterogeneo di prodotti (green bond, azioni, prestiti e investimenti) in settori differenti: dall’efficientamento energetico alla preservazione dei servizi ecosistemici. A livello globale la finanza verde sta crescendo a livelli senza precedenti e si stima che il mercato dei green bond possa arrivare a valere $2.36 triliardi entro il 2023. 

Per le Nazioni Unite la finanza sostenibile ha un ruolo chiave nell’implementazione di diversi SDGs (Sustainable Development Goals) dell’agenda 2030.  

Sotto il cappello della finanza sostenibile troviamo: 

  •  Efficienza energetica ed energia rinnovabile 
  •  Riduzione e controllo dell’inquinamento 
  •  Utilizzo sostenibile del territorio e delle risorse naturali
  • Preservazione della biodiversità 

La finanza sostenibile non include soltanto il finanziamento a progetti, ma anche il supporto a politiche pubbliche che promuovono lo sviluppo sostenibile.   

I dieci punti principali della green finance
I principali elementi della finanza verde

I Green Bond: il principale strumento della finanza sostenibile  

I green bond sono delle obbligazioni che restituiscono interesse e che a differenza dei bond classici sono concentrati sulla sostenibilità.  

Gli Stati Uniti, Cina e Francia sono i paesi che rilasciano la maggior parte di green bond, mentre la BCE  detiene circa il 20% di tutto il debito verde denominato in euro. Di recente la Commissione Europea ha proposto un regolamento per creare il primo standard volontario dei Green Bond EU (EUGBS). Potranno ottenere il bollino EUGBS soltanto i BOND che risponderanno agli stringenti criteri di sostenibilità individuati dalla Commissione che ha rilasciato in proposito un documento strategico per guidare ed incoraggiare gli investitori, le banche e le imprese verso gli investimenti sostenibili. 

Sempre più imprese redigono il proprio Green Bond Framework, un documento che descrive le loro policies relative agli investimenti responsabili e articola nel dettaglio come  intendono utilizzare i proventi delle obbligazioni verdi. Il documento elenca anche quali parametri ambientali devono rispettare i progetti da finanziare. 

A questo proposito, la Piattaforma Internazionale sulla Finanza Sostenibile è una piattaforma di dialogo tra i policymakers, con l’obiettivo di aumentare la mobilitazione di capitale verso investimenti ambientalmente sostenibili. Durante la COP26 la piattaforma promossa dall’UE è continuata a crescere, con l’adesione di Regno Unito, Nuova Zelanda e altri otto paesi. I 18 membri della IPSF rappresentano il 55% delle emissioni climalteranti.  

I paesi membri della Piattaforma internazionale sulla Finanza Sostenibile

Investimenti ESG, impatto reale o soltanto un placebo? 

Gli investimenti sostenibili sono spesso considerati come la risposta in grado di coniugare il mondo economico-finanziario con la salvaguardia dell’ambiente. Nel mondo aziendale sono conosciuti come ESG, acronimo di environmental, social governance: indicatori per misurare il livello di sostenibilità di un’azienda ai quali gli investitori attenti a queste tematiche possono guardare prima di decidere dove investire i propri capitali 

Lord John Browne, ex ad di BP, aveva messo la sostenibilità al centro della sua agenda nel 1997. È stato il primo manager di un’azienda di combustibili fossili a dichiarare pubblicamente l’impatto della sua impresa e la necessità di agire. Un suo famoso discorso aveva spinto altre società fossili a prendere simili impegni. Nel frattempo i manager dei fondi, incluso un fondo di investimenti tech multi-miliardario presieduto dallo stesso Lord Browne, avevano promesso di dirigere gli investimenti verso imprese che fanno del bene, 

Belle parole senza dubbio, ma qual è l’impatto reale?  

Tariq Fancy dirigeva gli investimenti sostenibili a Blackrock, la più grande società di investimento nel mondo. Si è dimesso due anni fa dopo essere stato deluso dal lavoro ed è adesso un critico degli ESG. Nella sua recente intervista all’Economist l’ex AD ha dichiarato come oggi il business sia condotto in modi che danno l’impressione della sostenibilità ma che in realtà non lo sono. Secondo Fancy, Oltre che essere disonesto questo crea un enorme placebo che distoglie l’attenzione dalle azioni concrete che dobbiamo intraprendere per la transizione. La più grande sfida è l’idea che gli ESG siano utili per gli investimenti, producendo ritorni neutri o positivi. La realtà è che gli ESG e le altre tendenze correlate sono una scommessa su politiche future, un’aspettativa che la società evolverà in un modo che porterà a regolazioni sulle emissioni sempre più stringenti (ad es. carbon pricing) e che quindi le aziende che investono sulla sostenibilità e rendicontano le loro azioni in modo più efficiente saranno più competitive. Tariq afferma che questa l’idea alla base sia quella che l’ha spinto inizialmente ad entrare in Blackrock. Una volta dentro però si è reso conto come nella realtà la maggior parte delle strategie di investimenti sono di natura molto a breve termine. L’idea che un’azienda sarà più competitiva in futuro per via di fattori come nuovi regolamenti e le preferenze dei consumatori è una grande tesi ma funziona solo su una parte del settore finanziario, quello degli investimenti non liquidi a lungo termine. Per il genere di investimenti di Blackrock, invece, la maggior parte sono strategie liquide con obiettivi di profitto a breve termine. Il secondo problema è la narrazione con cui gli ESG sono venduti al pubblico, che  implica come le aziende si prenderanno in carico la lotta al cambiamento climatico sulle loro spalle, quando sarebbe la politica a doverlo fare in primis. 

Anche riguardo la recente nomina di tre grandi direttori di fondi d’investimento ESG a CEO di altrettanti importanti aziende di idrocarburi, incluso Exxon, Fancy si pronuncia scettico: “Non penso che questo avrà l’impatto significativo che le persone pensano. Alla fine dei conti viviamo in una società basata sulla divisione delle responsabilità; ci sono persone che gestiscono i soldi di altri e che sono legalmente obbligati, per la maggior parte, a concentrarsi sul valore economico e non sociale di questi investimenti. Si ha infine un fallimento di mercato dove è ancora troppo economico bruciare i combustibili fossili perché non stiamo tassando i costi dell’inquinamento. In questa situazione non mi è chiaro come mettere tre investitori green a capo di aziende petrolifere possa produrre un reale cambiamento”. 

L’ex CEO di Blackrock conclude l’intervista dichiarando come la cosa migliore che un investitore attento all’ambiente può fare sia acquistare un veicolo elettrico privato, in modo da fornire nuovi fondi agli innovatori che stanno ricercando le future soluzioni per il clima. 

Oltre agli ESG, un altro elemento da non trascurare è l’ingombrante presenza di pratiche di Greenwashing.  

Secondo un’inchiesta dell’Economist sui 20 più grandi fondi di investimento ESG risulta che in media ognuno di questi aveva investito fondi in ben 17 produttori di combustibili fossili, 6 in Exxon Mobile (la maggior produttrice di petrolio americana), 2 in Saudi Aramco e altre aziende estrattive cinesi 

Nonostante le parole critiche di Tariq Fancy, è innegabile che il mercato si stia muovendo. Il prossimo anno vedremo molte grandi aziende comunicare le loro Strategie Net Zero. Ci sono numerose pressioni dal basso promosse dagli schemi di accreditamento di agenzie come l’ONU. A questo proposito saranno importanti elementi come la qualità dei dati, la trasparenza attorno a queste strategie e chiarire il fatto se sia possibile misurare le cose che le imprese dicono di voler misurare. Nuovamente però non si può mettere tutto il fardello sulle singole aziende, per quanto grandi esse siano; dobbiamo agire a livello sistemico: è l’intera economia che deve diventare net-zero. 

Le nuove aziende climate tech supportate dalla finanza verde

Una miriade di aziende tech sta nascendo per far fronte al degradamento ambientale. Ad esempio Heliogen, finanziata da Bill Gates, che diventerà pubblica alla fine dell’anno con una IPO stimata di $2 miliardi. Molte di queste start up stanno cercando di imitare Tesla e nessuna di loro sarebbe potutanascere senza il forte supporto monetario garantito da venture capitalist, angels, incubatori, accelleratori e altri player finanziari.  

Elemental Excelerator è una di queste realtà. Based in Hawaii, questo acceleratore americano cerca realtà climate tech che vogliono scalare la loro tecnologia. In dieci anni hanno analizzato oltre 5000 realtà e investito in 117, celebrando la scorsa estate la ventesima uscita pubblica.  La International Energy agency ha stimato che ormai i nuovi brevetti registrati per tecnologie come l’idrogeno, smart grid e carbon capture stanno nettamente superando quelli relativi a metodi tradizionali di produrre energia. La sfida adesso è trovare le tecnologie che sono pronte per essere scalate e che abbiano un impatto significativo sulle emissioni globali di carbonio. 

Ampaire è un’azienda che costruisce aerei elettrici ibridi. Sono in grado di volare oggi molto prima di quanto molte persone si sarebbero mai aspettate. Sono infatti già iniziati i voli ibridi commerciali in Hawaii e in Scozia. Per adesso si tratta di voli brevi e su aerei di piccole dimensioni, ma il modo per arrivare a fare le cose in grande è provare che la tecnologia funziona e poi ricevere fondi per scalarla. Ampaire è infatti stata acquistata come parte di un deal da $100 milioni di dollari da Surf Air mobility, testimonianza del forte interesse degli investitori verso le aziende green. Ma i soldi stanziati sono sufficienti? Al momento no, ma Dawn Lippert, ceo di Elemental Excelerator, rimane ottimista: “Non ci sono al momento i fondi sufficienti per la transizione, stimati attorno a $2 triliardi all’anno. Anche la filantropia non ci è minimamente vicino, ma sono ottimista che gli investimenti saliranno”. 

Capitalismo sostenibile?

Diciamolo, la questione è ancora più grande. La vera domanda è: il sistema capitalistico sul quale si basano le nostre società è realmente compatibile con le risorse “finite” del pianeta? Il mercato premia davvero le azioni che non prevedono il deperimento delle risorse nel loro insieme, il famoso “capitale naturale”?. E’ necessario internalizzare i costi sull’ambiente. Da anni esiste una scuola di pensiero economico che promuove riforme per esempio su come misuriamo il PIL, sui parametri di premiazione delle imprese sul mercato sul mercato e su che responsabilità vengono delegate al Management prendendo in considerazione proprio queste risorse naturali, tangibili e intangibili.  

Risulta evidente che la soluzione non è dunque quella di abbandonare il capitalismo, ma di correggere la mira attraverso l’aiuto di Enti e Organizzazioni come per esempio le Nazioni Unite. 

Il prezzo sul Carbonio per esempio è  un elemento importante su questo piatto della bilancia, considerando che sarebbe necessario stabilire, a livello mondiale un prezzo e un tetto massimo di emissioni(. Suona un po’ come un pensiero utopico, esattamente come il “free trade” mondiale anni fa, ma poi lentamente le cose sono cambiate. I grandi cambiamenti non accadono da un giorno all’altro. È così che il progresso agisce 

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