Per concretizzare l’idea di un mondo elettrificato, digitalizzato e a emissioni zero, sono essenziali materie prime che sfortunatamente non sono illimitate. Il processo di transizione ecologica richiede una fase estrattivista iniziale e l’Europa, povera di terre rare e metalli, non può far altro che ripensare la propria catena del valore in modo circolare.
La strategia europea per le materie prime critiche
La lista da tenere d’occhio è quella delle materie prime critiche, Critical Raw Materials (o CRMs). Pubblicata dalla Commissione europea nel 2022, contiene un elenco di 30 minerali tra cui tantalio, bauxite, cobalto, bismuto, fosforo, magnesio e terre rare.
Secondo la Banca Mondiale, la domanda delle materie critiche aumenterà del 500% entro il 2050. Una crescita destinata a creare rapide impennate dei prezzi e grandi incertezze sulle catene di approvvigionamento. Vulnerabilità di cui è ben consapevole la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che, durante la stessa presentazione del Critical Raw Materials Act, sottolineava come oggi la Cina controlli l’intera industria globale della trasformazione delle materie prime critiche, processando quasi il 90% delle terre rare e il 60% del litio. “Senza un accesso sicuro e sostenibile alle materie prime necessarie, la nostra ambizione di diventare il primo continente climaticamente neutro è a rischio”, ha ammonito Ursula von der Leyen. Ma non è solo la Cina al centro della contesa geopolitica delle materie prime critiche. “La Turchia fornisce il 98% del borato, il Cile il 78% del litio, il Kazakhstan il 71% del fosforo. Il solo Sudafrica, per quanto riguarda metalli come iridio, rodio e rutenio, detiene pressoché la totalità della produzione mondiale” si legge nell’ultimo magazine di Materia Rinnovabile dedicato ai Critical Raw Materials.
Stando alle stime contenute in Metals for Clean Energy, studio pubblicato dall’Università KU Leuven e commissionato da Eurometaux, entro il 2050 la transizione energetica in Europa richiederà ogni anno +33% di alluminio, +35% di rame, +3500% di litio, + 100% di nichel, +45% di silicio, + 330% di cobalto.
Le materie prime critiche in Italia
Anche in Italia il tema sembra essere centrale, tanto che l’ex Ministero della Transizione Ecologica ha avviato a gennaio 2021 un tavolo tecnico per le materie prime critiche, con l’obiettivo di rafforzare il coordinamento sul tema; potenziarne la progettualità in termini di sostenibilità degli approvvigionamenti e di circolarità; e contribuire alla creazione delle condizioni normative, economiche e di mercato volte a garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile di risorse.
La produzione industriale italiana impiega materie prime critiche utili a generare 564 miliardi di euro di valore economico (pari a circa un terzo del PIL italiano), di cui 50 derivati dalle terre rare. Secondo uno studio del Think Tank The European House – Ambrosetti, nel nostro Paese ben 26 materie prime critiche su 30 sono indispensabili per l’industria aerospaziale (87% del totale), 24 per quella ad alta intensità energetica (80%), 21 per l’elettronica e l’automotive (70%) e 18 per le energie rinnovabili (60%).
Secondo lo studio, se l’Italia raggiungesse il tasso di raccolta dei best performer europei (70-75%), si potrebbero recuperare 7,6 mila tonnellate di materie prime critiche, pari all’11% di quelle importate dalla Cina nel 2021. Al contrario, con l’attuale efficienza al 2025 non sarebbero recuperati circa 280 mila tonnellate, pari ad una perdita di 15,6 mila tonnellate di materie prime critiche. “L’aumento del tasso di raccolta dei Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) genererebbe – si legge nel report -, notevoli benefici ambientali, con una riduzione di quasi 1 milione di tonnellate di CO2, che si tradurrebbero in benefici sociali per la comunità quantificabili in circa 208 milioni di euro”. Infine, la maggiore disponibilità di materie prime critiche a sostegno dell’intera economia del Paese ridurrebbe il costo delle importazioni, generando un vantaggio economico pari a quasi 14 milioni di euro.
L’economia circolare dei rifiuti Raee
Per ovviare al problema dell’approvvigionamento e all’impennata dei prezzi delle materie, è fondamentale progettare i prodotti in modo circolare. Fino a poco tempo fa tutti gli apparecchi elettrici ed elettronici a fine vita erano considerati come rifiuti da smaltire in discarica, non come una preziosa risorsa da cui attingere. L’urban mining è un processo virtuoso che consente di ricavare dai Raee – rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche – metalli e materiali preziosi che diventano materie prime secondarie. Questi Raee sono flussi di rifiuti sempre più in crescita. Secondo le stime raggiungeranno i 120 milioni di tonnellate nel 2050, con un tasso di crescita annuo del 2%.
Anche dal punto di vista economico il riciclo di questi rifiuti apre scenari promettenti. Le entrate potenziali derivanti dal riciclo dei Raee nell’Unione europea potrebbero ammontare tra i 2 e i 3,5 miliardi di euro (2020). Così, l’Unione Europea ha fissato l’obiettivo di un tasso minimo di raccolta del 65% fissato dalla direttiva europea Raee.
Attualmente in Europa si ricicla meno del 40% di tutti i rifiuti elettronici, mentre il resto finisce nell’indifferenziato. Le pratiche di riciclo variano da uno Stato membro all’altro: nel 2017 la Croazia ha riciclato l’81,3% di tutti i rifiuti elettrici ed elettronici, mentre Malta ha raggiunto solo il 20,8%. L’Italia, invece, nel 2020 ha registrato una percentuale del 32,1%.
Foto in apertura: The Chemetall Foote Lithium Operation, Clayton Valley, Nevada.