L’alcol polivinilico, noto anche come PVA, è un polimero idrosolubile derivato dal petrolio che trova spazio come imballaggio in numerosi settori, tra cui cosmesi, industria alimentare, tessile e cartaria. È utilizzato inoltre per avvolgere alcuni prodotti di detergenza come capsule e fogli per bucato. L’idea è quella di usare il PVA per contenere la giusta dose di detersivo senza ricorrere a flaconi di plastica usa getta.
I dubbi sulla biodegradabilità del PVA
La solubilità in acqua del PVA è paragonabile a quella del sale: si scioglie scomparendo dalla nostra vista, andando ad alterare le proprietà fisico-chimiche dell’acqua durante i cicli di lavaggio di lavatrici e lavastoviglie.
Dopo che l’alcool polivinilico si mischia con le acque di scarico per uso domestico, inizia il processo di biodegradazione che, secondo i test di laboratorio documentati dall’American Cleaning Institute, impiega 28 giorni per degradare il 60% polimero, 90 per una completa degradazione.
La biodegradazione del PVA delle capsule detergenti è un argomento molto discusso negli Stati Uniti. Soprattutto dopo la pubblicazione di un studio condotto dal centro di ricerca Shaw Institute, che ha stimato la quantità di alcol polivinilico non filtrata dai depuratori statunitensi. “Delle circa 19.000 tonnellate di PVA consumate ogni anno per le capsule detergenti biodegradabili negli Stati Uniti, stimiamo che circa 11.000 tonnellate raggiungono gli impianti di trattamento (Il resto risulta disperso nelle fognature)– spiega a Materia Rinnovabile Charles Rolsky, direttore del Shaw Institute – Di queste, circa il 75% non viene trattato, non si biodegrada e viene rilasciato nei corsi d’acqua.” il rilascio del polimero in sistemi acquatici potrebbe causare effetti negativi sull’ambiente.
Secondo i ricercatori le condizioni di biodegradabilità testate in laboratorio non si trovano in ambiente naturale e nemmeno nella maggior parte degli impianti di depurazione presenti negli Stati Uniti.
Nel rispondere ai risultati presentati dallo studio, l’American Cleaning Institute ha pubblicato un comunicato stampa in cui, affidandosi alle argomentazione dell’EPA, prova a smontare punto per punto gran parte della ricerca.
Sulla questione biodegradabilità nei depuratori, l’agenzia ambientale statunitense ha spiegato che le condizioni dei test riflettono un compromesso tra gli scenari del ‘mondo reale’ e una coerente metodologia di analisi in laboratorio.
IL PVA non è una microplastica
Il regolamento europeo REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals) esclude tutti i polimeri dal processo di valutazione delle sostanze chimiche, a meno che non esistano comprovati rischi ambientali o pericoli alla salute umana.
Tuttavia, 17 ottobre 2023, l’Unione europea ha deciso di modificare il regolamento decidendo di bandire dal mercato Ue alcune microplastiche primarie, ovvero quelle inserite volontariamente in cosmetici, detergenti, tessuti e tanto altro.
Da questo aggiornamento rimangono esclusi i polimeri biodegradabili e quelli solubili come il PVA. Il motivo è che non rientrano nella definizione di microplastiche, descritta da Bruxelles come “particelle di polimeri sintetici inferiori a 5 mm, organiche, insolubili e resistenti alla degradazione”. Al di là delle definizioni, per la comunità scientifica gli impatti ambientali dell’alcool polivinilico sono ancora da approfondire. Come lo è la sua effettiva biodegradabilità negli impianti di depurazione delle acque reflue. Ad aspettare delle risposte sono quei consumatori che, per evitare di comprare flaconi di plastica usa e getta, pensano alle capsule in PVA idrosolubile come a una soluzione zero waste. Immaginando con il loro lavaggio “eco friendly” di proteggere il Pianeta dalla plastica.