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Quesito del mese – Ottobre 2020

di Paola Ficco, “Avvocato - Giurista ambientale e Direttore della Rivista RIFIUTI

Data 10/10/2020
Tipo Quesito del mese
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Domanda:

Secondo l’articolo 184-bis, Dlgs 152/2006 vengono definiti “sottoprodotti” le sostanze o gli oggetti che soddisfano una serie di requisiti e tra questi la “certezza dell’utilizzo”. Si chiede se tale “certezza dell’utilizzo” sia soddisfatta dalla seguente affermazione:

  • la quantità di residuo/sfrido di lavorazione prodotta “in modo continuo”, in un ciclo produttivo industriale, rispondente alla qualifica di “sottoprodotto” di cui all’articolo 184-bis, Dlgs 152/2006 e Dm 264/2016, possa essere impiegato in modo discontinuo presso l’utilizzatore finale, ovvero di trattarlo come sottoprodotto in base alle richieste dell’utilizzatore finale, cioè in modo da non garantire necessariamente la continuità del conferimento dello stesso, ma che il produttore iniziale, in caso di mancanza di richiesta da parte dell’utilizzatore finale possa continuare a gestire detto residuo/sfrido come rifiuto. Inoltre si chiede l’ “effettivo utilizzo” da parte dell’ “utilizzatore finale” sia soddisfatto dalla seguente affermazione:
  • Il Dm 264/2016 prevede l’esistenza dei “requisiti costitutivi”, cioè di documentazione comprovante il rapporto o impegno contrattuale tra produttore del residuo, eventuali intermediari e gli utilizzatori. La predetta documentazione è il requisito fondamentale di certezza dell’utilizzo e l’intenzione di non disfarsi del residuo. In mancanza della predetta “documentazione contrattuale”, il requisito dell’ “effettivo utilizzo” sarà dimostrato mediante la predisposizione di una scheda tecnica contenente le informazioni riportate in allegato 2 al Dm, necessarie a consentire l’identificazione dei sottoprodotti dei quali è previsto l’impiego e l’individuazione delle caratteristiche tecniche degli stessi, “nonché esclusivamente” il “settore di attività” o della “tipologia di impianti idonei ad utilizzarli”. Non è richiesta l’individuazione puntuale della ragione sociale e indirizzo dell’utilizzatore finale.

Risposta:

È noto che il sistema relativo al sottoprodotto integra gli estremi di un regime di favore; pertanto, la prova della sussistenza dei requisiti legislativamente previsti incombe sul soggetto che ne invoca l’applicazione (quindi, sull’impresa) 1. Pertanto, il sottoprodotto non è una questione di diritto, ma una semplice questione di fatto che, come tale, è demandata al Giudice di merito. Inoltre, se sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici, è insindacabile in sede di legittimità (cfr. ex multis, Cass. Pen. Sez. III, 52993/2018).

È solo il momento della produzione quello nel quale il produttore (del bene e quindi del possibile rifiuto che da tale ciclo decade) può stabilire se si vuole disfare del materiale oppure se lo vuole mantenere all’interno del ciclo produttivo.
Quindi, qualcosa che è venuto ad esistenza come rifiuto non può diventare sottoprodotto (ex multis, Cass. Pen. Sez. III, 44295/2007). Questo significa che le condizioni per il sottoprodotto vanno verificate con riguardo a quel ciclo produttivo e il successivo utilizzo del materiale deve essere individuato addirittura prima del momento della produzione. Anche la Circolare Minambiente 30 maggio 2017 (prot. 0007619), esplicativa per l’applicazione del Dm 264/2016 ricorda che “la qualifica di sottoprodotto non potrà mai essere acquisita in un tempo successivo alla generazione del residuo, non potendo un materiale inizialmente qualificato come rifiuto poi divenire sottoprodotto. Il possesso dei requisiti deve sussistere, dunque, sin dal momento in cui il residuo viene generato”.

Ovviamente, diversi sono i due momenti relativi a tale utilizzo:

  • quello in cui ne risulti la certezza
  • quello in cui esso si realizza.

Infatti, la norma non richiede che tra il momento di produzione del sottoprodotto e il suo utilizzo non vi sia interruzione. Del resto, una tale contestualità sarebbe troppo rara e anche incompatibile con la previsione che concede la possibilità di utilizzo “in un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi”.
Quindi, fermo restando che l’approccio è sempre quello di una interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, il regime probatorio attivato dall’interessato al fine di provare il contrario deve essere rigoroso. A tal fine, gli elementi documentali di carattere tecnico, tecnologico e contrattuale assolvono ad una funzione di primaria importanza.

Pertanto, il primo approccio interpretativo fornito dal Lettore si condivide in parte. Perché, fermo restando (come detto), che tra momento della produzione del sottoprodotto e suo impiego effettivo possa esserci un’interruzione, è necessario che le qualità e le quantità fornite all’utilizzatore siano previste a monte. Senza indulgere a richieste estemporanee (quindi, non documentabili) di quest’ultimo. Una volta esaurita la parte oggetto di apposito accordo di fornitura, occorre predisporre altra documentazione contrattuale per ricominciarla. Nel frattempo, quanto non previsto dalle scritture contrattuali resta rifiuto.
Con riguardo al secondo punto del quesito, si osserva che la citata Circolare 30 maggio 2017, ricorda che il Dm 264/2016 “non ha compiuto la scelta di prevedere strumenti probatori necessari per dimostrare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la qualifica di sottoprodotto”.
Infatti, ricorda che il Dm 264/2016 “esclude(re) l’effetto vincolante del sistema ivi disciplinato” e precisa che le modalità di prova indicate dal decreto “non vanno in alcun modo intese come esclusive. È lasciata all’operatore la possibilità di scegliere mezzi di prova individuati in autonomia, e diversi da quelli previsti dal Regolamento”.

Il Dm 264/2016 diventa vincolante “Solo laddove … contiene elementi di chiarimento sull’applicazione di vigenti disposizioni normative a carattere cogente”.
Quindi, “l’utilizzazione degli strumenti indicati dal Decreto rimane frutto di una adesione volontaria e non può in alcun modo essere considerata condizione necessaria per il legittimo svolgimento di una attività di gestione di sottoprodotti, per l’autorizzazione della quale non potrò mai richiedersi l’obbligatoria adesione alle procedure e agli strumenti disciplinati dal Regolamento”.
Pertanto, anche il secondo approccio interpretativo fornito dal Lettore si condivide in parte perché se è vero che l’articolo 5, Dm 264/2016 dispone che la scheda tecnica di cui al suo allegato 2 “supplisce” alla carenza di contratto ai fini della dimostrazione dell’effettivo utilizzo, è anche vero che si tratta di mera utile indicazione a fini probatori del già indicato regime di favore.
Infatti, l’articolo 1, comma 2 del Dm 264/2016, ricorda che “i requisiti e le condizioni richiesti per escludere un residuo di produzione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti sono valutati ed accertati alla luce del complesso delle circostanze”. Quindi, la valutazione del rispetto dei criteri legislativi è soggetta ad un’analisi condotta caso per caso perché, come detto, il sottoprodotto è una questione di fatto e non di diritto.

Da ultimo si sottolinea che pur in presenza di un apparato amministrativo perfetto (iscrizioni al registro Ccia, contratti, schede tecniche ecc.) se, nel concreto, il materiale costituisce oggetto di utilizzo non conforme (rectius: abbandono, smaltimento o recupero) questo sarà un rifiuto che simula il sottoprodotto.


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