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Se è solo il 5% dei rifiuti plastici urbani ad essere riciclato, cosa succede al resto?

di Circularity

Data 13/11/2020
Tipo News

Al convegno La filiera della plastica nella gestione dei rifiuti urbani svoltosi ad Ecomondo quache giorno fa hanno partecipato diversi operatori nazionali come AMIU Genova, Revet, I.Blu (Iren) e Aliplast (Herambiente). Andrea Lanz, responsabile dell’area tematica Contabilità Rifiuti di ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ha aperto il dibattito fornendo alcuni numeri relativi ai rifiuti plastici attualmente differenziati e a quelli effettivamente riciclati in Italia.

Secondo le statistiche rese pubbliche da ISPRA, nell’ultimo anno analizzato (2018), il quantitativo totale dei rifiuti urbani prodotti in Italia si aggira intorno ai 30,2 milioni di tonnellate, mentre la produzione totale di rifiuti speciali si attesta a intorno ai 143,5 milioni di tonnellate. Fra i rifiuti urbani provenienti dalla raccolta differenziata che vengono avviati a riciclo, il 40% è rappresentato dalla frazione organica. La plastica invece rappresenta solo il 5%, corrispondente a  650mila tonnellate di rifiuti plastici riciclati.
Cosa rappresenta questa percentuale?

Che se gli italiani buttano, in totale, quasi 4 milioni di tonnellate di plastica all’anno (12,9% dei rifiuti totali), in realtà ne vengono differenziati solo 1,3 milioni di tonnellate (7,8% della differenziata totale) che corrispondono agli imballaggi regolamentati dal sistema EPR, e di questi infine ne vengono “avviati a riciclo” solo 650mila tonnellate (5% del totale riciclato).

Ma cosa succede quindi a tutto il resto della plastica?

Ad oggi i 2,7milioni di tonnellate iniziali si perdono nell’indifferenziato. Secondo Ispra infatti, il 15% dei rifiuti indifferenziati totali è costituito da plastica: dato proveniente delle analisi merceologiche effettuate sul rifiuto urbano indifferenziato in ingresso agli impianti di trattamento meccanico biologico, di discarica e di incenerimento. In questo quantitativo ricadono tutti gli oggetti in plastica che non sono considerati imballaggi, alcuni esempi riportati da COREPLA (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica) sono utensili da cucina, giocattoli, pannolini, tubi per l’irrigazione, frullatori, sedie, penne e occhiali.

Ma da i 1,3 milioni di tonnellate differenziati, come mai vengono “avviate a riciclo” solo 650mila tonnellate?

Le ragioni sono molteplici, ma essenzialmente riconducibili a quattro aspetti principali.

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La prima è che in Italia non ci sono sufficienti impianti di recupero in grado di riciclare le quantità di rifiuti prodotte perciò siamo costretti ad inviare la nostra plastica differenziata all’estero. Il processo di riciclo consiste in una sequenza di operazioni che che comprendono macinazione, lavaggio e vari stadi di asportazione delle frazioni indesiderate, a cui si aggiunge poi la granulazione. Esistono numerosi impianti di piccole dimensioni (che trattano tra le 3 mila e le 5 mila tonnellate/annue), e non più di cinque impianti da 50 mila tonnellate. Fino a due anni fa i paesi industrializzati, compresa l’Italia, mediamente mandavano in Cina la metà dei loro rifiuti differenziati, in particolare la plastica.

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I rifiuti di plastica una volta erano un business abbastanza redditizio per la Cina, perché potevano essere usati per produrre e rivendere manufatti di plastica riciclata, ma con l’aumento della produzione globale di plastica anche la quantità dei rifiuti è aumentata in modo esponenziale e, in parallelo, la loro qualità media è andata peggiorando, tanto da renderne sempre più difficile e costoso il riciclo.
La seconda ragione che spiega questo gap dei rifiuti plastici differenziati rispetto a quelli effettivamente riciclati, è proprio la qualità. Lanz spiega che “anche se gli imballaggi vengono raccolti in maniera rilevante, non tutti hanno i requisiti per essere avviati alle varie forme di riciclo”. Una volta arrivati negli impianti di selezione, i diversi rifiuti plastici venivano fatti transitare su nastri trasportatori e gli addetti riconoscevano visivamente le diverse tipologie di imballaggio, effettuando la selezione a mano.

Oggi questa modalità di lavorazione riguarda meno del 15% dei quantitativi processati, mentre il restante 85% è selezionato automaticamente grazie a macchinari detti detettori ottici che separano automaticamente le plastiche “utili” e riciclabili dalle altre. Secondo i dati ISPRA presentati ad Ecomondo 2020, il 60% delle plastiche provenienti dalla raccolta differenziata, è difficilmente recuperabile e costituisce il cosiddetto “plasmix“. Si tratta in genere di materiale erroneamente inserito nella raccolta della plastica, da poliaccoppiati (es. film plastici metallizzati) o comunque in generale da tutte quelle frazioni eterogenee o di scarso interesse economico per il recupero a seconda dei casi (sacchetti con etichette, nastri isolanti, film di PVC, nylon, flaconi opachi).  Solo poche aziende virtuose in Italia possono riciclare queste plastiche miste sviluppando uno specifico granulo utile a realizzare oggetti di uso comune (come giocattoli, arredi urbani), ma per la maggior parte il plasmix viene triturato e pressato per essere utilizzato come combustibile solido in sostituzioni di combustibili fossili in impianti termici esistenti (ad esempio i cementifici) o destinato direttamente a termovalorizzazione insieme ai rifiuti plastici indifferenziati.

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Infatti, la terza ragione è che di tutti gli imballaggi plastici raccolti dalle municipalizzate e gestiti da consorzi come COREPLA, solo una parte di questa plastica interessa al mondo produttivo. Mentre la carta e il vetro riciclati sono quasi indistinguibili da quelli vergini: un quaderno può essere riciclato in un nuovo quaderno. Al contrario un flacone del detersivo non viene quasi mai riciclato in un altro flacone. In inglese si dice che la plastica non è “recycled”, ma “downcycled”, perché il risultato del processo è quasi sempre qualcosa di meno pregiato e meno valido dal punto di vista commerciale.

Questa perdita di qualità è dovuta alle caratteristiche intrinseche della plastica, la quale in seguito ai trattamenti di riciclo tende sia a degradarsi, sia a contaminarsi con frazioni di altre plastiche non compatibili. Esistono diversi metodi di selezione spinta e di riduzione della degradazione, ma i costi maggiori associati all’impiantistica attualmente ne riducono le applicazioni. Per questi motivi la plastica non può essere riciclata all’infinito, ma può sopportare pochi cicli di vita (spesso solo due) prima di perdere completamente le proprie caratteristiche funzionali ed essere destinata a termovalorizzazione o discarica.

Last but not least, l’ultimo tema ad avere un peso rilevante, come già scriveva The Guardian alla fine del 2019, nell’ultimo anno il prezzo dei fiocchi di plastica riciclata (flakes), è diventato per la prima volta più alto della plastica vergine. Per anni il costo della produzione di prodotti in plastica da fiocchi riciclati è stato più conveniente rispetto a fare affidamento su plastica vergine prodotta utilizzando combustibili fossili, il che significa che l’opzione sostenibile è stata anche un’opzione economica. Ma ad oggi non è più così e secondo gli analisti questa tendenza è dovuta in parte alla crescente necessità di includere la plastica riciclata nei cicli produttivi. Nel frattempo, l’utilizzo di plastica vergine sta diventando meno costoso a causa di un’ondata di produzione di prodotti petrolchimici proveniente dagli Stati Uniti grazie al boom fatto registrare dalla produzione di gas di scisto. Chiaramente la plastica riciclata costa di più della plastica vergine se si tiene conto unicamente del processo di produzione, in quanto le esternalità ambientali non sono mai considerate.

A fronte di tutto ciò, per fortuna la strategia europea per la plastica, secondo quanto detto da ISPRA e riportato da Il Fatto Quotidiano, “pone le basi per una nuova economia, inserendola nella cornice più ampia dell’economia circolare ed individuando specifici obiettivi, tra cui quello di assicurare entro il 2030 la piena riciclabilità di tutti gli imballaggi immessi sul mercato, nonché il riciclaggio di oltre la metà dei rifiuti plastici. Intende, inoltre, stimolare la domanda di plastica riciclata. L’attuale sistema di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio individua la Responsabilità estesa del produrre (Epr)” – ha spiegato Lanz – “attraverso lo strumento economico del contributo ambientale, quale sostegno dei costi di raccolta e trattamento. E il recepimento delle direttive del pacchetto Economia circolare, prevedendo la possibilità di estendere il principio di Epr ad ulteriori flussi di rifiuti, rappresenta un’opportunità per creare un circuito di valorizzazione anche per le plastiche non da imballaggio”.

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