Sono riportate in bella mostra in tantissimi articoli e imballaggi usa e getta, ma non tutti i consumatori conoscono la differenza tra la biodegradabilità e la compostabilità di un materiale. Per questo è necessario fare chiarezza sulle definizioni, contestualizzando anche la gestione del fine vita di questi prodotti.
Biodegradabile vs. compostabile
La biodegradabilità è un fenomeno di decomposizione di un composto organico tramite l’azione di un consorzio microbico ad anidride carbonica e acqua. È una proprietà che dipende strettamente dal tempo e dall’ambiente in cui avviene la decomposizione.
La compostabilità, invece, è un processo che porta alla disintegrazione di un prodotto con la produzione di compost tramite l’azione di agenti chimico-fisici e biologici. Ed è proprio la combinazione di questi due requisiti fondamentali a rendere un prodotto compatibile con il processo di compostaggio industriale secondo la UNI-EN 13432:2002. Requisiti che permettono inoltre il conferimento di oggetti compostabili all’interno della raccolta della frazione organica.
Un prodotto solo biodegradabile non è detto che sia compostabile e quindi che sia compatibile con il processo di compostaggio.
Da gennaio 2022 in Italia per poter conferire un prodotto nella raccolta del rifiuto organico è obbligatorio esporre sul prodotto il marchio di certificazione di comprovata compostabilità (norma UNI-EN 13432:2002).
Questo permette di distinguere prodotti certificati da quelli in commercio con claim generici e privi di certificazione. L’entrata in vigore della Direttiva sui Green Claims contro il greenwashing permetterà così di arginare un tipo di comunicazione errata e fuorviante che spinge il cittadino a scelte e ad azioni con impatto negativo sull’ambiente.
Il marchio CIC
Il Consorzio Italiano Compostatori (CIC), che si occupa di promuovere e valorizzare le attività di riciclo della frazione organica dei rifiuti che porta alla produzione di compost di qualità e biometano, dal 2006 rilascia il Marchio Compostabile CIC con l’obiettivo di garantire l’oggettiva compostabilità dei manufatti biodegradabili durante il recupero del rifiuto organico negli impianti di compostaggio su scala industriale secondo la norma UNI-EN 13432:2002.
In Italia si trovano in commercio stoviglie monouso biodegradabili e compostabili perchè sono state esentate dal divieto di utilizzo imposto dalla Direttiva SUP. Secondo CIC questa esenzione è giustificata dal fatto che nel nostro Paese sono presenti 357 impianti di riciclo organico in grado di trattare questa tipologia di prodotti in presenza del marchio di certificazione di compostabilità. Anche se biodegradabili, non sono oggetti da abbandonare, anche solo accidentalmente, nell’ambiente come invece può capitare ad esempio nel caso dei residui di plastica in ambito agricolo o delle reti da pesca.
Pertanto il destino degli imballaggi e delle stoviglie monouso, di qualsiasi materiale, è il conferimento da parte dei cittadini nella corretta filiera di raccolta differenziata e di riciclo. In Italia le principali filiere sono rappresentati da CONAI, che include anche il consorzio Biorepack, responsabile per la gestione degli imballaggi in plastica compostabile.
Le criticità della raccolta dell’umido
Nonostante l’Italia abbia introdotto dal primo gennaio 2022 l’obbligo di raccolta della frazione umida, anticipando di ben due anni il resto dell’Unione Europea, nel 2022 si rilevano ancora 675 comuni in cui non risulta essere stata attivata la raccolta differenziata della frazione umida, per un totale di oltre 900.000 abitanti (il 49% circa al Sud, il 38% al Nord e il 12% nel Centro).
Oltre a mancare ancora una diffusione capillare della raccolta organica, anche la qualità della stessa spesso lascia a desiderare. Il Centro Studi CIC rileva che la purezza merceologica media della frazione umida raccolta è scesa dal 93,8% all’attuale 92,9%. La frazione umida raccolta e avviata agli impianti di trattamento presenta quindi una percentuale di materiali impropri (materiale non compatibile – MNC) pari al 7,1% del materiale conferito.