Mentre lo stordimento di fine estate abbaglia e un poco stordisce ancora, il costo dell’energia per le famiglie e le industrie sono a livelli record. Si rischiano aumenti che sfiorano il 40%.
Che la transizione ecologica non sia un “pranzo di gala” il Ministro Cingolani lo dice spesso, ma ha recentemente ribadito, da persona ragionevole quale è, che “non deve essere fatta a spese delle categorie vulnerabili. Se il costo dell’energia aumenta troppo, le aziende perdono competitività e chi ha meno fatica a pagare la bolletta”.
In altri termini, la transizione ecologica rischia di essere fatta a spese delle categorie vulnerabili. La dinamica del mercato internazionale e le politiche climatiche varate dall’Unione europea pongono al centro il famoso Green deal europeo. Si tratta della risposta alle sfide del cambiamento climatico e della crescita sostenibile per trasformare l’Unione europea in una società equa, prospera, moderna e con una economia competitiva capace di usare le risorse in modo efficiente dove non vi sono emissioni nette di gas a effetto serra nel 2050 e dove la crescita economica si muove in senso inverso all’uso delle risorse. La tappa intermedia è il 2030 che si pone l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra pari al 55% rispetto ai livelli del 1990.
Un ecologismo molto difficile da sostenere e che quando incontra la realtà rischia di trasformarsi in un boomerang perché il passaggio privo di gradualità presenta il conto in termini di stabilità sociale dove a pagare sono, ancora una volta, i poveri, incapsulati nel turbocapitalismo che, per dirla con il Nobel Jospeh Stiglitz, “è stato progettato per creare disuguaglianze”.
E l’aumento della bolletta è lì a testimoniarlo. Si inizia a parlare di stati generali dell’energia per un compromesso tra istanze diverse. Ma il punto è che oggi l’energia si ricava da carbone e gas e lo “tsunami” del cambiamento deve riuscire ad avere i tratti della pioggia d’aprile. Una sospensione davanti all’assoluto.
Intanto la transizione ecologica muove i suoi passi tra i fondi del Pnrr e le moltissime cose da fare affinché tutto non venga trasformato dallo specchio deformante della rinuncia o, peggio, del malaffare. Così, poiché la mobilità non è solo il monopattino e il commercio non è solo il pacco a domicilio che contiene merce a prezzo basso, sul sito internet del Mite è stato pubblicato un avviso per decidere quali progetti di ammodernamento “green” dei porti del centro-nord possono accedere ai 270 milioni di euro del Pnrr per aumentare la loro sostenibilità ambientale e ridurre i consumi energetici. Tra i progetti spicca l’elettrificazione delle banchine. Si corre ma l’impennata dei costi energetici deve far riflettere.
Sul fronte rifiuti, è atteso per la fine dell’anno il decreto Mite (sentite le Regioni) sui criteri di selezione dei progetti proposti dalle amministrazioni per ottenere 1,5 miliardi di euro messi a disposizione dal Pnrr per la realizzazione dei nuovi impianti per gestione dei rifiuti e l’ammodernamento di quelli esistenti. Si aggiungono 600 milioni di euro che andranno ad alimentare i cd. “progetti faro” di economia circolare per potenziare la raccolta differenziata e il riciclaggio. Gli occhi sono anche puntati sul primo semestre del 2022 quando, ancora il Mite, dovrà varare il decreto sul Programma nazionale per la gestione dei rifiuti. Un appuntamento che segnerà il destino di molti impianti e frustrerà i sogni di altri e che si pone accanto a quello di fine giugno 2022 con la Strategia nazione per l’economia circolare e i 5,3 miliardi di euro che, insieme all’agricoltura sostenibile, il Pnrr le riserva. Ed è in questa strategia che trova posto il nuovo sistema di tracciabilità digitale dei rifiuti, gli incentivi fiscali per il riciclo e l’uso di materie prime secondarie accanto e la riduzione del ricorso alla discarica.
Cose normali che si chiedono da sempre e che il non realizzarle ha posto più questioni di quante se ne volevano risolvere.