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Editoriale – Dicembre 2020

di Elisabetta Perrotta, Segretario FISE Assoambiente

Data 14/12/2020
Tipo Editoriale
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Nell’ambito del recepimento delle nuove direttive europee del Pacchetto sull’Economia circolare, analizzare quali tra le misure in esse contenute svolgeranno un ruolo fondamentale per promuovere e accelerare la transizione verso l’Economia circolare non è solo importante ma necessario alle Istituzioni per orientare nuove politiche di sviluppo e alle imprese per pianificare i propri investimenti. Mai come in questo momento in cui l’emergenza Covid-19 ha messo in ginocchio le economie mondiali è fondamentale potenziare e accelerare il percorso verso un’economia circolare, quale driver strategico per il rilancio di un’economia che tenga sempre più conto della tutela ambientale. In Italia, secondo gli ultimi dati Ispra ed Eurostat, si registrano buone performance per tasso di circolarità, produttività nell’uso di risorse e tassi di riciclo ma diversi sono gli aspetti che mettono a rischio questi ottimi risultati e sui cui bisogna lavorare: è necessaria una moderna politica ambientale che si concretizzi nell’adozione di un’adeguata normativa di settore che ponga le basi per una seria politica di sviluppo industriale delle attività e delle aree critiche del comparto su basi certe e stabili, propedeutiche per la creazione di condizioni per gli investimenti, anche privati, e dell’occupazione del settore. Serve una strategia nazionale.

Tra gli aspetti che più caratterizzano questo percorso vi sono certamente quello della Responsabilità estesa del Produttore (Epr) e dell’End of Waste (EoW). L’Epr, ovvero quell’approccio di politica ambientale nel quale il produttore di un bene è responsabile anche della fase post- consumo, ovvero della sua gestione una volta diventato rifiuto, è una riforma che potrà rappresentare una grande opportunità per l’Industria, ma per essere, come richiede la nuova direttiva quadro sui rifiuti, uno strumento a sostegno dell’economia circolare, essa dovrà essere declinata tenendo conto delle specificità di filiera e di prodotto e ponderando attentamente le esigenze di tutela ambientale con la fattibilità tecnico-economica, per evitare di indebolire inutilmente la competitività delle imprese. È opportuno che i costi di gestione siano determinati ed imputati in modo da rispecchiare il “costo reale per l’ambiente” della produzione e della gestione dei rifiuti. Tali costi non si limitano a quelli necessari all’organizzazione o al sostegno della fase della raccolta dei rifiuti, ma riguardano anche la sostenibilità economica delle attività di gestione del rifiuto a valle, e vanno finanziati tramite il contributo ambientale che viene pagato, in ultima istanza, dai consumatori dei prodotti. In tale ottica diventa importante anzitutto l’esigenza del rafforzamento ed ampliamento dell’impegno dei sistemi Epr a favore della ricerca e dello sviluppo di soluzioni eco-innovative e realmente circolari, sviluppando e promuovendo l’ecoprogettazione e l’innovazione. Ciò significa che i nuovi regimi Epr dovranno contribuire alla transizione verso l’impiego di prodotti durevoli, adatti all’uso multiplo, riparabili, tecnicamente ed economicamente selezionabili e riciclabili, realizzati anche con il contributo di materiali riciclati: ciò nella consapevolezza che è necessario intervenire a monte del processo di produzione, fin dalla progettazione dei prodotti, per poter affrontare il crescente problema della produzione eccessiva di rifiuti, migliorare la gestione del rifiuti a valle e ridurre gli impatti ambientali.

La determinazione dei contributi finanziari che dovranno essere versati dai produttori in adempimento agli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore, dovrà tener conto del concetto di “efficienza dei servizi di gestione rifiuti”. Tali contributi, come esplicitato dall’articolo 178 bis, comma 3 lettera c) del decreto di recepimento, non dovranno infatti superare “i costi che sono necessari per fornire servizi di gestione dei rifiuti in modo efficiente in termini di costi”. Quali siano questi costi per le diverse filiere in Italia, caratterizzate da situazioni fortemente diversificate sia in relazione alle tipologie di prodotti che a livello territoriale, è un aspetto cruciale e dibattuto; anche su tale aspetto, si innesta il ruolo dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), chiamata come soggetto regolatore “super partes” a fornire un’indicazione univoca sui criteri per la determinazione della responsabilità finanziaria dei produttori, nell’ambito della disciplina sulla responsabilità estesa del produttore e nell’ottica di libero mercato che contraddistingue la riforma.
L’EoW, ovvero il processo di recupero eseguito su un rifiuto, al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto rappresenta invece il presupposto essenziale, sotto il profilo giuridico ed operativo, dell’industria del riciclo: se viene meno o si blocca questo passaggio, si mina alla base la possibilità di trasformare un modello economico da lineare a circolare.
Per ben due anni, fino all’emanazione del Dl Sblocca cantieri di novembre scorso, quasi tutti i processi di recupero finalizzati all’ottenimento di un end of waste sono stati bloccati da una Sentenza del Consiglio di Stato del 2018 che ha negato che enti e organizzazioni interne allo Stato potessero rilasciare tali autorizzazioni in assenza dei criteri di competenza del Legislatore (comunitario o nazionale), determinando l’impossibilità del rinnovo delle autorizzazioni già rilasciate (dalle regioni) agli impianti di riciclo e il veto sul rilascio di queste ai nuovi impianti. Tale norma è stata aspramente criticata dal mondo produttivo in quanto si è, sostanzialmente, limitata a salvaguardare le tipologie e le attività di riciclo previste e regolate da decreti emanati più di 20 anni fa, escludendo, quindi, di fatto, quelle che si sono sviluppate in epoca più recente e che impiegano modalità e tecnologie più innovative per il riciclo ed il recupero dei rifiuti e, quindi, paradossalmente, anche le più efficaci per la tutela dell’ambiente e lo sviluppo dell’economia circolare.
La situazione si è in parte sbloccata con il Dl Crisi aziendali del novembre scorso che se da un lato ha reintrodotto il regime autorizzativo “caso per caso” in capo alle Regioni, dall’altro ha anche previsto una disciplina “ad hoc” dei controlli sugli impianti per il recupero dei rifiuti che, pur avendo già ottenuto l’autorizzazione dalle autorità competenti, rimangono appesi a un eventuale giudizio “ex post” a seguito di ulteriore verifica delle stesse autorizzazioni da parte di altro soggetto. Questa soluzione rischia di ingessare ancora una volta e inutilmente il meccanismo di rilascio di tali titoli abilitativi, strategici per l’economia circolare. Il regime previsto, infatti, rende le attività di riciclo addirittura più onerose di quelle di smaltimento determinando incertezze sia per le imprese che per gli Enti competenti sul territorio. Tale disciplina dei controlli andrebbe quantomeno rivista e semplificata in quanto genera una nuova situazione di “impasse” per il nostro sistema economico prevedendo criteri che sembrano orientarsi in direzione opposta rispetto all’operatività dei processi di economia circolare, in quanto pongono evidenti ostacoli agli investimenti e non incentivano l’innovazione nei processi industriali in un’ottica di economia circolare.

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