Tanto tuonò che piovve. E l’economia circolare ha la sua cifra legislativa anche in Italia. Il relativo “pacchetto” ideato e reso concreto da Bruxelles per agevolare la transizione verso un’economia più circolare e forte è ora una realtà legislativa anche nazionale.
L’economia, però, diventa circolare e forte quando razionalizza il ciclo produttivo, quando è capace di innovazione spinta e quando recupera gli scarti. E questo non può avvenire solo “per legge”, perché è assolutamente necessario l’intimo convincimento degli attori sociali: imprese, cittadini e Pubblica amministrazione. Secondo stime (pre Covid) della Commissione Ue, nel 2025 il risparmio di materie prime per l’industria europea potrebbe essere di circa 400 miliardi di euro (il 14% a parità di produzione) e 12 miliardi di euro per l’Italia. Lo sviluppo della responsabilità estesa del produttore dei beni dai quali si originano i rifiuti (Epr) e i sistemi (collettivi e autonomi) che la realizzano rappresentano uno degli strumenti cardine attraverso il quale realizzare il diretto coinvolgimento del sistema produttivo per la transizione verso l’economia circolare. Soggetti e filiere organizzati secondo strategie integrate. E questo non sarà facile in un paese diviso su tutto, una divisione che produrrà inevitabilmente una rottura: una catena sottoposta a tensione si spezza nel suo anello più debole. Il che è noto. Meno noto è capire quale sia l’anello più debole per intervenire prima che si spezzi. L’anello debole, in questo momento di (rinascente) pandemia è proprio dato dai sistemi ambientali: troppo complessi, troppo delicati, troppo costosi. In un momento dove l’emergenza sanitaria sta iniziando una brutta convivenza con quella economica i tagli della gestione picchiano sulla tutela ambientale. Sarà inevitabile con il mondo che ormai si arrende all’infinita potenza dell’infinitamente piccolo virus. Dal Nadef (nota di aggiornamento del Def), si apprende che il recupero del Pil ai livelli ante Covid è previsto nel 2022 e che il rapporto debito/Pil, nel 2020, salirà di circa 23,4 punti percentuali su base annua e sarà pari al 158 per cento. Insomma, la ripresa è lenta, incerta e il debito pubblico giganteggia.
Della linfa che può derivare dall’economia circolare, il Nadef non se ne occupa, ma avrebbe dovuto. E anche le imprese devono iniziare a occuparsene seriamente, con ragionamenti immediati perché ogni cosa avrà senso solo se riuscirà ad inserirsi in una più ampia sequenza di esperienze. Per questo diventa importante capire, perché tutto sarà diverso. Lo sviluppo della responsabilità estesa del produttore dei beni è l’unica vera grande novità positiva del nuovo “Codice ambientale” di cui al Dlgs 116/2020, in attuazione della direttiva 2018/851/Ue. Eppure son tutti lì a chiedersi se sono stati esentati dai formulari o se devono continuare a fare il Mud. Vagheggiano di tracciabilità informatica. Mentre, anche attraverso l’assimilazione “ope legis” dei rifiuti speciali agli urbani, sono state rimesse in discussione tante certezze. Ancora non ci si accorge che attraverso l’economia circolare il non essere dei rifiuti diventa la strada affinché si realizzi l’essere dei materiali. C’è, però, necessità di una Pubblica amministrazione agile e capace di rispondere con l’interruzione della linearità ovattata e tendenzialmente soffocante e intrinsecamente nervosa del suo agire. Messa alla prova per mostrare in quanti modi diversi può esprimere la sua competenza, aderendo alle cose fuori dalla linea d’ombra. Nasce così, con il nuovo Dlgs 116/2020 (che modifica per l’ennesima volta la parte quarta del “Codice ambientale”) e si fa norma, l’ideale comune ma straordinario della trasformazione, con proporzioni corrispondenti alle attese collettive, in un’affascinante sequenza di possibilità. Una sequenza dove la materia che ha costruito il passato ora è chiamata a realizzare il presente. Quasi una nuova estetica, dove il “ricercare” e l’ “avere già trovato” potranno identificarsi, con quell’esattezza che vorremmo ritrovare nella nostra vita.
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