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Resilienza e transizione ecologica, il mantra del futuro dimentica il paesaggio

di Paola Ficco, “Avvocato - Giurista ambientale e Direttore della Rivista RIFIUTI

Data 21/06/2021
Tipo Editoriale
rivista rifiuti

A oltre un anno di distanza dall’esplosione del flagello pandemico, arriva il PNRR dove la seconda “R” sta per resilienza. Un termine relativamente complesso e ormai variamente abusato che si traduce, fondamentalmente, nella capacità di arginare positivamente gli eventi traumatici. Per farlo, dunque, sono richieste due cose: un evento negativo e la flessibilità per reagire. Il PNRR è il (ricco) crogiuolo all’interno del quale il disastro prodotto dal Covid-19 diventa l’occasione per provare a farcela di nuovo.
La contemporaneità diventa così una novella araba fenice che prova a rinascere dalle sue ceneri. Accadranno cose importanti, nel bene e nel male, ma nell’ansia della ripresa occorre sperare che il paesaggio non ne sia una vittima illustre. Poiché è inteso a vario titolo, sono molte le discipline che se ne occupano: la geografia, l’estetica, la letteratura, la storia dell’arte, l’urbanistica e l’economia. Il PNRR, invece, occupandosene poco, resta quasi indifferente; il paesaggio è solo citato tra le procedure complesse che le amministrazioni devono affrontare (insieme a Via, infrastrutture, urbanistica, edilizia) e il Piano le sosterrà per “velocizzare gli iter procedurali”.
Ancora una volta, il paesaggio si conferma come qualcosa che vediamo ma non guardiamo, perché percepito come un non luogo sul quale semplicemente scivola la storia del mondo. Anche la transizione ecologica. Eppure, dobbiamo chiederci, quale occasione migliore per una riconciliazione tra quanto di sbagliato è stato fatto e il territorio? Insomma, non è progettuale né tranquillizzante intendere il paesaggio come procedura e non come bene di un’Italia che è un miracolo di bellezza. Non occuparsi del paesaggio è uno dei tanti sintomi della noia del privilegio che rende ciechi e stanchi.
Non è facile guardare al rinnovato antropocentrismo del PNRR e della sua tecnologia in vista della transizione ecologica e digitale quando si pensa che stiamo reagendo al Covid-19 come nel XVI secolo si reagiva alla peste: “rigorosa divisione spaziale in settori”, chiusura di paesi e città, controlli e quarantene, cibo di non difficile approvvigionamento. Lo racconta, nel suo “Sorvegliare e punire” M. Foucault, con il terrore del contagio, di malati senza confessori, del controllo di ogni movimento, annotando che il rapporto di ciascuno “con la propria malattia e con la propria morte, passa per le istanze del potere”. Parla di peste “che è miscuglio, la disciplina fa valere il suo potere che è di analisi”. Nel rinnovato medioevo dei nostri giorni, l’integralismo del politicamente corretto processa il Principe azzurro per il bacio a Biancaneve. Presupposto e conseguenza della “cancel colture” che, pretendendo di ricostruire il passato iniziando dal presente, abbatte le statue con furia iconoclasta. Così si spalanca la strada a voler capire solo quello che conviene perché cancellare il passato vuol dire cancellare il futuro passando attraverso una falsificazione. Una ventata di odierna e pericolosa stupidità.
Eppure mai come ora c’è bisogno di lucidità perché siamo tutti depositari dell’enorme responsabilità di realizzare la transizione ecologica per un equilibrio tra ieri e domani, tra tutela e crescita specie in un paese così prezioso, perché bello e delicato, come l’Italia. Un nuovo paradigma per evitare il senso della fine. Il Covid-19 allenta (pare) la sua morsa e in questo incerto avvicinamento alla normalità il caleidoscopio della mutevolezza accelera la sua corsa, rivelando tutta la sua avversione per ogni, seppur minima, coerenza. Una coerenza che si ricompone però nelle parole del Premier Draghi quando al Global Health Summit del 21 maggio a Roma ha detto “dobbiamo vaccinare il mondo e farlo rapidamente”. Si intrecciano così, di nuovo, ipotesi e immagini di futuro.
Un riorientamento atteso, che cancella le pretese di apocalisse profetica al romanzo “Il pedone” che Ray Bradbury scrisse nel 1951 e nel quale narra di un anno futuro (il 2053) quando è vietato camminare di notte ed è obbligatorio stare a casa tutto il giorno guardando la televisione “divisi uno dall’altro e privi di efficacia politica”.

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