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Editoriale – Luglio 2020

di Paola Ficco, “Avvocato - Giurista ambientale e Direttore della Rivista RIFIUTI

Data 07/07/2020
Tipo Editoriale
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Mentre l’edonismo (più o meno) leggero della movida riprende a solcare le notti di città che provano a far finta che il virus cinese sia solo un brutto ricordo, si legge da più parti che l’economia italiana è stata colpita al cuore: Pil in calo del 10% nel primo semestre. Un’altra guerra ma, a differenza del virus, per nulla inaspettata.

Nel decreto “liquidità” una delle varie risposte pulviscolari alla crisi di chi produce beni e ricchezza è stato l’aumento di alcune soglie del deposito temporaneo. Quasi a riconoscere la scarsa incisività a fini di tutela ambientale del rigore disciplinare di questo particolare deposito che si sostanzia, è bene ricordarlo, nello stoccaggio (in senso atecnico), privo di autorizzazione, del produttore del rifiuto.

Tuttavia la regola è l’argine, è il solco da seguire e non è ancora chiaro quanto possa essere stata saggia questa frettolosa modifica. Una norma che nasce dall’emergenza ma che è ordinamentale e, quindi, non finirà con l’emergenza. Una “semplificazione” dettata in un’epoca di profonda crisi economica, dove moltissime piccole e medie imprese italiane si stanno per proporre al miglior offerente per ottenere un po’ di reale liquidità. Una “semplificazione” che facilita la corsa al saldo di fine stagione perché (anche) la tutela ambientale comincia a incrinarsi: un chiaro indicatore del fatto che la pandemia ha cambiato l’agenda delle priorità. Orazio diceva “primum vivere deinde philosophari”. I bisogni sono diventati altri.

Intanto, guardando ai fatti, è venuta meno la forza visiva della massa e quindi dai radar è scomparsa la piccola Greta. E ancora, il 5 giugno 2020 è stata celebrata la giornata mondiale dell’ambiente e dalle varie conferenze celebrative si è appreso che, a livello globale, un milione di specie è a rischio estinzione soprattutto a causa delle trasformazioni del suolo e dei cambiamenti climatici. Non è una buona notizia ma è anche vero che dove arriva l’uomo le altre specie si estinguono o, comunque, sopravvivono con difficoltà. Produzione e ambiente, due poli opposti di un unico campo di forze, spesso inconciliabili ma, altrettanto spesso, necessari l’uno all’altro dove la menzogna peggiore sarebbe il non provare a cambiare per paura di non farcela.

Nell’era spezzata del Coronavirus, la crisi sanitaria e quella economica ci hanno insegnato che occorre da un lato riscoprire la sanità di prossimità tornando a disseminarla sul territorio e dall’altro ridimensionare la globalizzazione per una diversa dimensione del consumo. Questo non significa consumare di meno, anzi. Significa consumo di prossimità. Il “chilometro zero” o “quasi zero” non deve valere solo per la mandorla biologica ma anche per il piatto di porcellana e il golf di lana.

Del resto con gli oltre 9 miliardi di abitanti che, sembra, abiteranno il pianeta terra nel 2050, il rischio virus (e non solo) è globale. Quindi il rapporto tra sovraffollamento mondiale e salute non è di sovrapposizione ma di esclusione della seconda ad opera del primo. Prepariamoci.

Questo virus ha regalato anche la solitudine e il silenzio delle scuole chiuse, sublimati dall’istruzione virtuale. Sicuramente un grande esperimento sociale di introduzione dal basso della tecnologia nella scuola ma, se si è costretti ad accettare la comunicazione a distanza, la virtualità può diventare una condanna. Semplicemente perché la scuola è un’altra cosa.
Solo un paese che, in eterna epifania e dissonanza, rotola verso il nulla avrebbe potuto accettare in silenzio (pressoché totale) il “requiem” sulla scuola. Un risultato scontato, che nasce anche dalla pigrizia mentale indotta dal declassamento sociale della funzione dell’insegnamento umanistico. In “Democrazia avvelenata”, Dario Antiseri, lo definisce un furto di consapevolezza storica, filosofica, letteraria e artistica. Insomma un “furto di democrazia”.

In questa specie di gioco al massacro, dove bambini e giovanissimi regrediscono per mancanza di socialità, nelle nostre città ancora opache tutti cerchiamo una risposta convincente, un progetto, un soffio. Invece, siamo ancora tutti espressione della stessa ferita e dello stesso strazio.

Sarà un decreto semplificazioni (l’ennesimo) o la promessa di un punto in meno di Iva che ci restituiranno forza e coraggio? Forse sì, perché mai come ora è irresistibile il desiderio di farci illudere in uno spettacolo di fascinosa e dolente magia.


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