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Clima e tutela ambientale: il problema è sistemico

di Paola Ficco, Avvocato - Giurista ambientale e Direttore della Rivista Rifiuti

Data 05/10/2022
Tipo Editoriale
rivista rifiuti

L’approvazione della Strategia nazionale per l’economia circolare rappresenta la risposta italiana alla necessità di ridefinire il nostro modello di sviluppo, una necessità resa ancora più urgente dalla crisi pandemica.

Ora occorre riflettere sulla sua attuazione, ridefinendo il ruolo di tutti gli attori sociali dai cittadini alle imprese fino all’Amministrazione pubblica perché la tutela e la valorizzazione delle matrici ambientali, intese come bene comune, hanno bisogno dell’opera corale e coordinata di tutti.

Un nuovo divenire, dunque, si affaccia. Un testimone da lasciare alle giovani generazioni affinché possano progredire ma anche tutelare.

È chiaro che, ovviamente non c’è un “qui e ora” quanto piuttosto un “durante” dove la sobrietà normativa deve diventare una costante. La tutela deve essere assistita, senza se e senza ma, da una norma stabile, semplice e chiara perché è questa la più efficace infrastruttura posta a supporto effettivo della politica ambientale.

Le semplificazioni amministrative si traducono in aggravi sistematici, mentre il punto di arrivo deve essere il silenzio assenso. I termovalorizzatori generano energia e ne abbiamo un disperato bisogno, come dei controlli senza ideologia, affinché la tutela ambientale resti un nobile obiettivo e non si trasformi in un’ortodossia religiosa.

La tragedia dell’alluvione marchigiana della notte del 15 e 16 settembre scorsi dovrebbe averci convinto definitivamente che cementificazione e disboscamento sono azioni da non ripetere. E non voglio credere alla non prevedibilità del disastro né voglio più usare la parola “emergenza”. Questo perché il problema è sistemico e, quindi, si risolve solo con la capacità di capire come le cose si influenzano reciprocamente, anche l’azione della P.a.

Più d’uno scienziato afferma che la torrida estate appena trascorsa sia stata la più fresca dei prossimi anni. In questo soffrire del mondo dobbiamo riflettere e riprendere in mano la nostra vita eliminando politiche attendiste, fatte di piccoli gesti e di veti incrociati.

Serve un pensiero tutto nuovo che abbandoni la critica dell’inquietudine e che, facendo proprio l’ordine narrativo di chi deve farcela, realizzi alternative che non escludano a priori spazi e possibilità. In questo tempo sbagliato, capace di un ritmo imprendibile, ricco solo di dubbi e obiezioni, invece, spesso si preferisce sospendere il giudizio.

E così rimane solo l’abrasione di un acido che cancella il nesso tra le conseguenze del nostro agire passato e quello che, invece, dovremmo fare per prevenire il peggio. Ma rimane solo un racconto non raccontato.

Tutto si ferma nel linguaggio delle migliaia di foto che invadono la “rete” all’esito di una delle molte “tragedie del clima” che si abbattono su frammenti di mondo. Foto che, però, dimentichiamo che sono testimonianza di una sofferenza che non passa, di una situazione che ha modificato le condizioni di vita di troppi in modo non sempre reversibile. Guardare diventa così un gesto quasi insostenibile perché l’inerzia aggiunge qualcosa alla sofferenza e consente solo la progressiva inutilità di continuare a restituire la tragedia di eventi meteoclimatici estremi.

Ma, forse, le grandi passioni del nostro tempo potranno ridare il senso di vedere il mondo in un contesto meno astratto, affinché la fine di qualcosa diventi l’inizio straordinario di qualcos’altro che tutti noi dovremmo sentire così nostro al punto tale da farlo diventare semplicemente vero.

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