Con lo sfondo sonoro dei tamburi da combattimento e del dolore di questi terribili giorni di guerra riaffiorata in Ucraina, la Germania ha bloccato il via libera al Nord Stream 2, il gasdotto che con 1.200 chilometri di tubi porta il gas dalla costa baltica russa alla Germania nord-orientale. L’impianto è stato immaginato come necessario per l’approvvigionamento energetico tedesco, in vista dell’abbandono del carbone, consumato in grandi quantità dalla Germania.
Il gas russo, da solo, rappresenta il 55% delle importazioni di gas da parte di Berlino e il 32% del totale consumato annualmente dalla Germania. A prescindere da analisi geo politiche, va detto se questo può essere un problema grave per la Germania e l’Europa, tuttavia il principale mercato per gli idrocarburi russi (40%) è l’Europa.
Un gioco al massacro dove tutti perdono tutto. Una voragine di infelicità generata da quel mestiere che si scrive “guerra” ma che si pronuncia “dolore”. E il dolore non è né giusto né ingiusto è solo inutile.
Gli scenari alternativi al gas russo non sono molti ma sono molto contraddittori: si va dal potenziamento delle trivelle inglesi nel Mare del Nord al potenziamento delle esportazioni statunitensi di gas fossile liquefatto. In Italia, il Mite ha approvato il Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai) e, dopo oltre due anni di moratoria, ripartono le trivelle (sul 42,5% di terraferma cui si aggiunge l’11,5% di aree marine).
Non manca chi spinge per l’accelerazione degli investimenti in energie rinnovabili prodotte su scala locale e prezzi accessibili. Punto d’arrivo fondamentale, ma ad oggi sembra più il frutto di un’apparizione di infinito, perché la domanda è “fino ad allora che si fa”?
Lo scorso 16 marzo il Ministro della Transizione ecologica Cingolani riferiva in un’informativa al Senato che “l’Europa sta pagando alla Russia circa un miliardo di euro al giorno al di là delle quotazioni” e che “in questo momento il flusso di gas dalla Russia è il più alto mai registrato”. Il Ministro ha anche dato la seguente (allarmante) dimensione della nostra dipendenza dalla Russia: “Le importazioni dalla Russia sono incrementate sia in valore assoluto che in percentuale sui consumi, dai circa 20 miliardi di metri cubi (25% dei consumi) del 2011 ai 29 miliardi di metri cubi del 2021 (38% dei consumi). … oltre il 95% del gas naturale consumato in Italia viene importato dall’estero”.
E allora ci si chiede: cosa abbiamo fatto in questi anni? E come abbiamo potuto tradire la verità con l’idea artificiale di essere al riparo da ogni sconfitta, mirando a un mondo piatto, pacificato dal libero mercato e riunito nella globalizzazione? La domanda è necessaria perché ora questa idea sembra proprio venir meno.
Intanto, nell’Italia mascherata da tecno-potenza globalizzata, dopo cinque anni, il decreto sull’End of waste dei rifiuti da C&D ha terminato il suo iter nazionale ed è stato presentato a Bruxelles per il dovuto periodo di “standstill” in quanto regola tecnica. Lo stesso dicasi (ma dopo soli 18 mesi) per il decreto sulla preparazione per il riutilizzo.
Con queste tempistiche, i temi nodali dall’economia circolare appaiono più come un vizio culturale che come una vera necessità. Il che getta più di qualche ombra sull’insanabile contrasto tra economia circolare e globalizzazione.
Si pensi, fra i tanti casi, all’estensione dei confini geografici e alle enormi distanze che questa globalizzazione produce nei fatti ma ignora nella narrazione. Queste distanze impediscono, infatti, la cd. “logistica di ritorno” cioè la movimentazione dei prodotti a ritroso lungo la catena di distribuzione, dal destino finale fino al produttore iniziale (o a un terzo) passando per il riutilizzo, la restituzione del reso e finendo al riciclo, ma sempre lungo la stessa catena distributiva. Insomma la strada che finisce dove inizia non è un concetto compatibile con la globalizzazione ma lo è con l’economia circolare. E allora? Un andare smarrito dove è sempre più difficile distinguere il vero dal falso e dove ciascuno apprende solo le lezioni che ha deciso gli possano servire.
Per il momento Russia e Ucraina hanno appreso (da Orazio) che “dulce et decorum est pro patria mori”.
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