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Nell’Italia del 56° Rapporto Censis la storia ha “fatto irruzione nelle microstorie delle vite individuali”

di Paola Ficco

Data 09/01/2023
Tipo Editoriale

Il Censis è il Centro Studi Investimenti Sociali, nato nel 1964 è diventato una Fondazione nel 1973 e, da oltre cinquanta anni, legge l’Italia. Lo fa con i numeri contenuti nel suo annuale “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, considerato il più qualificato e completo strumento di interpretazione della realtà italiana e ora giunto alla sua edizione n. 56, presentata a dicembre 2022.

Nelle considerazioni generali del Rapporto si leggono cose fondamentali per capire la rotta da dare ai nostri giorni più imminenti e a quelli che immaginiamo saranno oltre domani. Una bussola, dunque, che ci racconta di come la storia ha “fatto irruzione nelle microstorie delle vite individuali”. Infatti, il 61% degli italiani teme che possa scoppiare il terzo conflitto mondiale, il 59% il ricorso alla bomba atomica, il 58% che l’Italia entri in guerra. Una nuova età dei rischi all’interno della quale il Censis vede un’Italia che “cerca una profilassi per l’immunizzazione dai pericoli correnti”, dove i meccanismi tesi al miglioramento sulla base del sacrificio si sono “inceppati”.

Ad essi ora si sostituisce la malinconia “tra de‑globalizzazione e prove di friend‑shoring all’italiana”. Il Rapporto ci ricorda che in questi ultimi tre anni, sono intervenute quattro crisi profonde: pandemia, impennata del costo della vita, guerra in Europa, costi energetici. Quindi, è giusto chiedersi “dove siamo”, il che riporta al centro “della coscienza sociale l’indispensabile sforzo per uno sguardo a largo raggio, contro ogni ipotesi di soluzione a breve”. In altri termini l’Italia fa fatica a maturare e rinuncia a guardare avanti e, aspettando l’età adulta, si affida alle rendite di posizione e di ricchezza del singolo e resiste nel quotidiano. Questo, però, significa rinunciare a trasformare la società perché tutti ci accontentiamo di traguardi a breve, brevissimo, termine.

Tra i lati oscuri del nostro presente, riaffiorano problemi nazionali ormai endemici come la crescita assente (quando non carente); la macchina amministrativa pubblica che è”andata fuori giri” e quindi “non sarà in grado di trainare la ripresa”; la ricerca è intrappolata nella morsa della scarsa qualità delle strutture e della programmazione pubblica; le disparità territoriali incidono sull’esercizio della giustizia; la fragilità logistica stringe la “vivace e positiva dinamica manifatturiera” mentre il ritardo dei servizi avanzati ricade anche sull’economia dei servizi tradizionali. In Italia occorrono circa 2,5 anni per realizzare un’opera pubblica, nel Mezzogiorno uno in più. Mentre nelle università nell’ultimo anno accademico le immatricolazioni contano 9.400 studenti in meno (− 2,8% rispetto all’anno). Insomma, un Paese, il nostro, che da sognante si è trasformato in sonnambulo e dove la notizia della prima riuscita dell’esperimento di fusione nucleare che annuncia energia pulita e meno cara è stata accolta ma non esattamente compresa. Forse perché ci vorranno (sembra) decine di anni prima che diventi un fattore quotidiano.

Quindi, non esattamente interessante per l’italica genìa priva di prospettiva e fondata sull’osservazione del proprio ombelico. Ma se ci arriveremo, occorre chiedersi “come” questo accadrà. Le premesse ci sono tutte per immaginare un mondo (forse) in pace ma più arido e afflitto dalla sovrappopolazione. L’eccedenza demografica rispetto ai mezzi di sussistenza comporterà un inevitabile restringimento nel riconoscimento dei diritti. Le autocrazie dominanti saranno coadiuvate dall’intelligenza artificiale di contenimento e controllo. Il lato oscuro del mondo riconfigurato come un non luogo dove le differenze potrebbero essere evocate e valorizzate, oppure, come avviene nel delirio, abolite.

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