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Oceani ed economia circolare: come la circolarità migliora la salute dei nostri mari

di Circularity

Data 21/06/2021
Tipo News

8 giugno: una data importante. Si è celebrato il World Ocean Day, il giorno degli oceani.
Attenzione, non si tratta di una mera iniziativa per una celebrazione degli oceani in sé e per sé.
Al contrario, essa è saldamente sostenuta dall’associazione no-profit, che porta lo stesso nome, radicata in più di 140 paesi e che inizia a prendere forma addirittura dal 1992, anno in cui il Canada propose per la prima volta l’idea di una giornata dedicata alla salvaguardia dei nostri mari e alla tutela della biodiversità.
A ben vedere, l’attenzione sullo stato di salute dei nostri mari è molto alta, visto che un mare inquinato ha, e in futuro ancora di più, un impatto pesantissimo sulle nostre vite.
E proprio le Nazioni Unite hanno rinominato il decennio 2021-2030  Decade of Ocean Science for Sustainable Development” (Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile).
Nel loro manifesto ci sono indicazioni e suggerimenti per sensibilizzare opinione pubblica, istituzioni, imprese pubbliche e private sull’importanza del nostro oceano. Gli obiettivi del decennio, leggibili chiaramente sul sito, sono rivolti ad avere un oceano

  • pulito in cui le fonti di inquinamento vengono identificate e rimosse;
  • sano e resistente in cui gli ecosistemi marini sono mappati e protetti;
  • prevedibile in cui la società ha la capacità di comprendere le condizioni oceaniche attuali e future;
  • sicuro in cui le persone sono protette dai pericoli oceanici;
  • utilizzato in modo sostenibile che garantisce la fornitura di cibo;
  • trasparente con accesso aperto a dati, informazioni e tecnologie;
  • un oceano che ispira e coinvolge

Il loro documento ufficiale presenta dati importantissimi: gli oceani forniscono cibo per miliardi di persone, assorbono quantità enormi di CO2 rallentando così i cambiamenti climatici, creano oltre 30 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti. Cosa preoccupa di più studiosi, scienziati ed ecologisti? 

L’inquinamento degli oceani: le cause e alcuni dati salienti

Il nostro oceano e il nostro mare sono in pericolo. La nostra affermazione, purtroppo, deriva dallo studio dei dati e dalle analisi di numerose istituzioni ed enti specializzati.
Ci sono fonti di inquinamento e processi degenerativi che dovranno essere al centro delle azioni di Stati e aziende per evitare un aggravamento della situazione dei nostri mari. Sembra un paradosso, eppure l’80% dell’inquinamento marino deriva dalla terraferma. La National Ocean Service, ente americano che si occupa di studiare l’impatto economico e umano sugli oceani, nell’articolo “What is the biggest source of pollution in the ocean?” espone chiaramente che a incidere sulla salute dell’oceano ci sono:

  • il trasporto via gomma e le autovetture in generale rilasciano olii sul suolo: parte di queste sostanze finisce in mare;
  • le sostanze utilizzate nell’agricoltura finiscono purtroppo sulle coste e inevitabilmente nel mare trasportate da eventi atmosferici e da canali di scarico;
  • il trasporto via mare ha il suo impatto, anche se minore.

A ben vedere già nel 2012 la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile aveva posto l’accento sulle cause dell’inquinamento marino. Nel suo focus si afferma che “Le pratiche agricole, il turismo costiero, gli sviluppi portuali e portuali, lo sbarramento dei fiumi, lo sviluppo urbano e la costruzione, l’estrazione mineraria, la pesca, l’acquacoltura e la produzione, tra le altre, sono tutte fonti di inquinamento marino che minacciano gli habitat costieri e marini”.

L’elemento su cui si pone l’accento è anche la presenza di “zone morte”: “L’eccessiva quantità di nutrienti dagli scarichi fognari e dal deflusso agricolo ha contribuito al numero di aree a basso contenuto di ossigeno (ipossiche) note come zone morte, dove la maggior parte della vita marina non può sopravvivere, con conseguente collasso di alcuni ecosistemi.”
Capiamo meglio questo fenomeno con alcune ricerche contenute all’interno dei 17 obiettivi dell’ “Agenda per lo “Sviluppo Sostenibile” delle Nazioni Unite. Il 14 obiettivo è dedicato proprio a uno sviluppo sostenibile che tuteli il nostro mare minacciato dell’eutrofizzazione. Le sostanze come azoto, fosforo e zolfo, contenute in fertilizzanti o detersivi, portate in mare da scarichi o pioggia, sono causa di una crescita spropositata di alghe che a loro volta andranno a sottrarre ossigeno provocando uno squilibrio nell’ecosistema marino e la morte di pesci, crostacei e molluschi.

Forse, però, ciò che più preoccupa gli scienziati è il fenomeno dell’ “acidificazione dell’oceano”. Nel documento appena citato si spiega perfettamente questo fenomeno: “L’acidificazione dell’oceano è causata dall’assorbimento di CO2 atmosferica da parte dell’oceano, con conseguente diminuzione del pH e acidificazione dell’oceano, minacciando gli organismi marini e i servizi oceanici. Una serie limitata di siti di osservazione a lungo termine in mare aperto ha mostrato un continuo declino del pH negli ultimi 20-30 anni.”

A rendere ancora più preoccupante il quadro sulla salute degli oceani c’è poi la presenza delle plastiche e microplastiche: Ogni giorno finiscono in mare qualcosa 150 milioni di tonnellate di plastica e l’Agenzia Chimica Europea stima che circa 42000 tonnellate di microplastiche finiscano in mare con un impatto devastante sugli ecosistemi marini e sulla vita dei loro abitanti.

L’economia circolare per la tutela degli oceani

Le prospettive non sono incoraggianti se questi ritmi non saranno fermati e rallentati in qualche modo. Le immagini “di vere e proprie isole di plastica galleggianti” rendono più chiaro quanto il nostro mare possa essere inquinato. 
Quali soluzioni si possono adottare per un futuro sostenibile e la tutela dei nostri mari?

In primis, notiamo con soddisfazione che tutte le iniziative per la tutela degli oceani mirano a una collaborazione fra più attori a livello globale: l‘inquinamento del mare riguarda tutti i paesi e non è un fenomeno locale.

Il secondo elemento sarà sicuramente il ricorso a politiche che limitano l’utilizzo di plastica e microplastiche.
Abbiamo parlato in passato di quanto l’industria tessile sia responsabile dell’inquinamento marino: brevemente ricordiamo essa ogni anno rilascia in mare 0,5 milioni di microplastiche. Da questo punto di vista è stata fondamentale la “Direttiva Europea sulla messa al bando della plastica monouso e le proposte da parte dell’Agenzia Chimica Europea per limitare l’immissione sul mercato di prodotti contenenti microplastiche.

Infine, non possiamo che ribadire come l’economia circolare contenga al suo interno, direttamente e indirettamente, principi fondamentali per la tutela e la salvaguardia degli oceani.

Dobbiamo cambiare completamente il modello di produzione da economia lineare a circolare: la plastica deve diventare risorsa per aziende e materiale da immettere in nuovi processi produttivi. Bisogna incentivare inoltre gli studi finalizzati a trovare nuove tecnologie per il recupero e la trasformazione della plastica e le aziende che fanno, e faranno, della circolarità un loro modo di intendere l’economia e i prodotti finiti. Su questo punto non possiamo che portare alla vostra attenzione il tessuto “Econyl”, interamente ottenuto dal recupero e riciclo di rifiuti plastici come reti marine e scarti di lavorazione industriale.

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