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Trattato globale sulla plastica: i (pochi) progressi del secondo negoziato

di Circularity

Data 03/07/2023
Tipo News

Era tutt’altro che scontato veder concludere il secondo ciclo di negoziati per un Trattato globale sulla plastica con la creazione di una “bozza zero” in preparazione del prossimo ciclo a Nairobi (Kenya) a novembre 2023. Tuttavia, nonostante rappresenti un passo avanti verso la creazione di uno strumento legalmente vincolante, diversi osservatori hanno espresso preoccupazione per la mancanza di progressi significativi nelle decisioni sostanziali sugli obblighi e nella struttura del Trattato.

Nei primi due giorni e mezzo dei negoziati –  dal 29 maggio al 2 giugno presso la sede dell’Unesco a Parigi – la maggior parte del tempo è stato impiegato per discutere delle regole procedurali, che si sarebbero dovute risolvere precedentemente durante la riunione preparatoria a Dakar, in Senegal, nel giugno 2022. Questa situazione ha comportato un ritardo durante la fase iniziale delle trattative riguardanti gli aspetti sostanziali del Trattato, per esempio affrontando il problema dell’inquinamento da plastiche analizzando tutto il ciclo vita del materiale: dalla produzione fino allo smaltimento.

Tuttavia, diverse delegazioni, guidate da Arabia Saudita, India, Brasile e Iran, e le nazioni lobbyste dell’industria dei combustibili fossili hanno ostacolato l’avvio delle discussioni sul contenuto del Trattato mettendo in discussione la regola 38.1, che prevede la possibilità di un voto con una maggioranza di due terzi nel caso in cui non si raggiunga il consenso.

Superato l’impasse, nelle fasi successive del negoziato sono emersi i veri interessi di questo gruppo: evitare qualsiasi limitazione alla produzione di plastica, limitare gli obblighi del trattato solo ad azioni (volontarie) a livello nazionale, concentrarsi sulla gestione dei rifiuti e opporsi al divieto o alla graduale eliminazione di determinati prodotti. Insomma, per questo blocco il problema si risolve incrementando semplicemente il riciclo.

Come sarà la bozza zero

Solo a partire dal mercoledì 31 maggio sono iniziate le discussioni sugli elementi più importanti di quello che sarà il nuovo Trattato. Inizialmente si è lavorato sullo sforzo di individuare 12 possibili obblighi fondamentali, tra i quali la possibilità di incoraggiare la “riduzione, il riutilizzo e la riparazione” di prodotti e imballaggi in plastica; promuovere l’utilizzo di alternative e sostituti sicuri e sostenibili; eliminare il rilascio e le emissioni di plastica nell’acqua, nel suolo e nell’aria; affrontare l’inquinamento da plastica esistente; agevolare una giusta transizione; proteggere la salute umana dagli effetti negativi dell’inquinamento da plastica.

Il secondo gruppo ha lavorato sui mezzi di attuazione, tra cui lo sviluppo di Piani di Azione Nazionale (NAPs), lo scambio di informazioni, il coinvolgimento delle parti interessate, la sensibilizzazione ed educazione. Stati Uniti, Arabia Saudita, Cina e India, hanno ribadito la loro preferenza per un approccio bottom-up, in cui gli Stati determinino i propri impegni in base alle proprie capacità e alle migliori intenzioni, sulla falsariga dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, mentre la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo hanno chiesto forti impegni globali per tutti gli Stati, secondo un approccio top-down.

Sono stati quasi 180 i Paesi presenti ai colloqui e, secondo i calcoli del WWF, 135 chiedono espressamente regole globali vincolanti, che si applichino a tutti i Paesi in egual misura, piuttosto che un accordo volontario in cui i governi abbiano la possibilità di scegliere le azioni da intraprendere. 94 Stati hanno proposto che il nuovo Trattato dia priorità al divieto o all’eliminazione graduale di polimeri problematici, sostanze chimiche e prodotti in plastica ad alto rischio. La “bozza zero” del trattato non è altro che un testo preparatorio preparato dal presidente del comitato di negoziazione, Gustavo Meza Cuadra, sui cui si baseranno i documenti, le opinioni espresse durante il secondo ciclo di negoziati di Parigi, nuove sottomissioni che dovranno arrivare.

Secondo quanto riportato dall’Earth Negotiation Bullettin di IISD, i lavori si sono concentrati anche nel dare priorità a uno strumento basato sulla scienza e sull’evidenza in relazione alla ricerca, rilevando un ampio sostegno a favore di un organismo tecnico-scientifico che valuti i dati scientifici, i dati socioeconomici e gli impatti, le materie plastiche, i polimeri e le sostanze chimiche problematiche. Durante gli i negoziati di Parigi però, si è registrata la massiccia presenza lobbisti dell’industria petrolchimica. Il giornale di investigativo Mediapart ha contato 196 lobbisti dell’industria presenti ai negoziati, un numero di gran lunga superiore ai 46 scienziati indipendenti della Scientists’ Coalition for an Effective Plastics Treaty.

Anche alla fine di questo secondo ciclo di negoziati diversi osservatori hanno confermato l’urgenza di istituire un meccanismo che si collochi al di sopra e in aggiunta alle discussioni bilaterali con le singole nazioni. Questo meccanismo per ora non esiste e l’interpretazione della migliore scienza è affidata a ciascuno degli oltre 170 Stati membri. “Sono troppe le possibili interpretazioni e divergenze – ha detto Richard Thompson, professore dell’Università di Plymouth – e da questa situazione non si troverà un accordo efficace. Serve un nuovo sistema”.

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