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Cosa sono i sussidi fossili e le promesse (non mantenute) per eliminarli

di Simone Fant

Data 01/06/2023
Tipo News
Petrochemical plant by liufuyu

Prestiti, garanzie sui prestiti, assicurazioni, tagli alle accise, royalties (pagamenti effettuati dall’aziende ai proprietari del terreno per l’estrazione di idrocarburi) che non vengono tassate. Queste sono solo alcune delle forme di sussidi fossili che vengono erogate ad un’ampia gamma di industrie ad alta impronta carbonica, dalla produzione di energia ai trasporti, dall’edilizia alla agricoltura. Era il G20 del 2009, quando per la prima volta 19 Paesi più l’Unione europea presero l’impegno di eliminare gradualmente i sussidi inefficienti ai combustibili fossili. Una decisione che, si pensava, avrebbe scalfito un modello di produzione energetica che accelerava il riscaldamento globale a spese dei contribuenti.

Nonostante siano passati ormai quasi 14 anni dal quel summit di Pittsburgh, il processo di phase out (eliminazione graduale) si sta rivelando ancora troppo lento per raggiungere gli obiettivi climatici internazionali. Esistono diversi modi con cui la finanza pubblica può supportare l’industria fossile lungo tutta la catena del valore, ma tutt’ora, tra sovvenzioni dirette e implicite, non c’è neppure un consenso totale sulla definizione di sussidio.

La definizione di sussidi fossili e le sovvenzioni al consumo

La definizione di sussidio non è ancora universalmente accettata. Ne offre una versione la World Trade Organization (organizzazione mondiale del commercio), che indica come sussidio qualsiasi tipo di finanziamento o contributo erogato da un governo o un’agenzia governativa che conferisce un vantaggio di mercato rispetto agli altri partecipanti. Nonostante sia presa come riferimento da diverse istituzioni internazionali come OECD, IRENA e UNEP, la Ong Climate Action Network (CAN) ritiene che questa classificazione e le sue varianti riflettano solo le sovvenzioni “dirette”, ovvero misure tangibili di sostegno fiscale fornite dagli Stati, senza includere sussidi impliciti, ovvero quei costi nascosti chiamati anche esternalità, che rappresentano i danni (spesso sottostimati) provocati dall’inquinamento atmosferico e dal riscaldamento globale. Mentre le sovvenzioni dirette ammontano a mille miliardi di dollari annui, secondo una stima del Fondo Monetario Internazionale i sussidi impliciti toccano addirittura i 5000 miliardi.

I sussidi più impattanti sono sicuramente quelli che vanno a foraggiare l’industria dei combustibili fossili. Da un’analisi dell’OECD, a livello globale le sovvenzioni dirette nel comparto energetico sono diminuite da un picco di quasi l’1,2% del PIL mondiale nel 2012 solamente allo 0,8% nel 2021, anno in cui hanno doppiato gli investimenti nelle rinnovabili (446 milioni di euro). L’IPCC stima che eliminandole si potrebbe ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 10% entro il 2030.

Per ogni crisi energetica e conseguente fluttuazione dei prezzi del petrolio che si presenti, i governi scelgono puntualmente di operare tagli alle accise sulla benzina, con l’obiettivo di sostengo finanziario alle fasce di popolazione più vulnerabili. Questi tagli vengono definiti sussidi diretti al consumo. Da un lato rappresentano un importante forma di supporto sociale durante i periodi di crisi energetica; dall’altro, oltre ad incoraggiare il consumo di combustibili fossili, distorcono i prezzi, rendono meno attraenti gli investimenti per l’efficienza energetica (come nel caso della crisi del gas) e possono comportare uno spreco di energia.

I SAD italiani e il ruolo di SACE

I sussidi diretti al consumo rappresentano tuttavia solo una piccola fetta della torta. In Italia, per esempio, vengono chiamati con l’acronimo di SAD (sussidi ambientalmente dannosi) – catalogati dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica in lunghissimo elenco redatto nel 2019. Tra questi figurano i crediti all’esportazione emessi da SACE (Società per Assicurazioni di Credito all’Esportazione), ente che si occupa di fornire strumenti finanziari assicurativi per sostenere gli investimenti esteri delle aziende, offrendo protezione contro i rischi politici e commerciali. Operando come un assicuratore pubblico interamente controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, l’agenzia tra il 2015 e il 2020 ha speso più di 8 miliardi di euro in sussidi alle fossili, erogandone solo due per infrastrutture rinnovabili. In una speciale classifica tra i 10 Paesi della coalizione Export Finance for Future (E3F) che impegnano più soldi pubblici per progetti fossili, l’Italia figura come la più esposta.

Alla COP26 di Glasgow del 2021, 34 Paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche hanno firmato un impegno congiunto, la cosiddetta dichiarazione di Glasgow, per porre fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili. Nel suo piano di phase out approvato nel 2021, SACE prevede il divieto di “supportare nuove transazioni relative a carbone, impianti petroliferi che utilizzano il gas flaring di routine durante le attività di estrazione e i progetti mirati all’esplorazione, allo sfruttamento e alla produzione di petrolio e gas attraverso il fracking”. Tuttavia questi divieti hanno tempistiche differenti: le coperture assicurative all’estrazione del petrolio verranno eliminate dal 2023, mentre quelle per il gas dal 2026. Inserendo nel piano parecchie eccezioni, l’operato di SACE ha attirato parecchie critiche da parte di diverse associazioni ambientaliste.

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