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Cop15: accordo storico per fermare la perdita di biodiversità

di Circularity

Data 04/01/2023
Tipo News
Biodiversità

Dopo più di quattro anni di negoziati e ripetuti ritardi dovuti alla pandemia, alla Cop15 di Montreal sulla biodiversità quasi 200 Paesi hanno firmato il Quadro Globale per la Biodiversità Kunming-Montreal, un accordo storico che comprende quattro obiettivi e 23 target da raggiungere entro il 2030 per arrestare e invertire la perdita di biodiversità.

I risultati della Cop15 di Montreal

Alla fine di una plenaria straordinaria durata più di sette ore, ai negoziati di Montreal si sono raggiunti risultati importanti: la protezione del 30% delle terre, degli oceani, delle zone costiere e delle acque della Terra; la riduzione di 500 miliardi di dollari annuali in sussidi governativi dannosi per la natura; un successo per le comunità indigene che avranno più diritti nella tutela della natura e che avranno un ruolo importante nel rigenerare almeno il 30% degli ecosistemi degradati.

La 15esima Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (COP15) è stata presieduta dalla Cina che, per cercare un accordo rapido, ha dovuto scendere a qualche compromesso, per esempio annacquando gli impegni e impatti del mondo industriale, su pesticidi e sui meccanismi di verifica. Sono tanti però gli impegni ambiziosi che potranno essere raggiunti solo grazie alla creazione di una struttura finanziaria adeguata. Con il Global Biodiversity Framework oltre all’eliminazione graduale (o riforma) entro il 2030 dei sussidi che danneggiano la biodiversità per un valore di 500 miliardi di dollari all’anno, è stato deciso che si dovranno investire almeno 200 miliardi all’anno in finanziamenti nazionali e internazionali relativi alla biodiversità.

Sono previsti almeno 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025 e 30 miliardi all’anno entro il 2030 per sostenere i Paesi meno sviluppati e gli stati insulari. Questi soldi provengono dal nuovo Fondo per la Biodiversità che dovrà essere pronto entro il prossimo anno e che fa parte del Global Environment Facility – (GEF), un’istituzione che da decenni sostiene investimenti su clima e natura canalizzando risorse dai Paesi OCSE.

Finanza per la biodiversità: i Paesi in via di sviluppo volevano un fondo separato

I Paesi del sud del mondo, tra cui il Brasile, l’Indonesia e la Repubblica Democratica del Congo – che ospitano le tre più grandi foreste pluviali del mondo – cercavano un accordo sulla creazione di un nuovo fondo separato per finanziare i nuovi obiettivi di conservazione.

Come descrive il Guardian, un capo delegazione della Repubblica Democratica del Congo, appena prima dell’annuncio sull’accordo finale presentato dalla Cina, ha affermato di non poter sostenere l’accordo nella sua forma attuale perché non si menzionava un fondo per la biodiversità separato dall’esistente Global Environmental Fund. Questo ha creato una spaccatura che ha creato non poche tensioni durante tutta la Cop15.

Alla fine si è optato per un nuovo fondo, ma sempre all’interno del principale meccanismo di finanziamento esistente delle Nazioni Unite, il Global Environment Facility. I Paesi più ricchi hanno accettato di sborsare 30 miliardi di dollari entro la fine del decennio per sostenere economicamente quei Paesi che svolgono un ruolo essenziale nella conservazione della biodiversità.

Gli obiettivi di conservazione della natura

Secondo i 23 target del Global Biodiversity Framework le risorse economiche messe sul tavolo serviranno per realizzare gli obiettivi di conservazione, rigenerazione e riduzione dell’impronta ambientale a livello globale. Come riporta Materia Rinnovabile, unica testata giornalistica italiana accredita alla Cop15, nei prossimi 7 anni tutti i Paesi firmatari dovranno impegnarsi, Italia inclusa, a tutelare il suolo in maniera intelligente fino al 30% entro la fine del decennio.

Raccomandati nuovi parchi e aree marine che includano anche attività umane solo se sostenibili. Nel testo si dice stop al consumo di suolo attraverso cementificazione e devastazioni inutili; come si dice stop alla deforestazione, principale driver congiunto di perdita di biodiversità.

La tutela della biodiversità e la rigenerazione degli ecosistemi degradati saranno sostenuti anche con nuovi strumenti economici, come green bond e biodiversity credits e saranno favoriti i progetti che coniugano adattamento e mitigazione climatica, secondo gli obiettivi del Global Biodiversity Framework.

Il documento finale include anche un altro obiettivo importante che riguarda la rigenerazione degli ecosistemi degradati: bisognerà completare o essere sulla strada del ripristino del 30% degli ecosistemi terrestri, acquatici e marini degradati. Un messaggio importantissimo per chi gestisce patrimoni fondiari, come le grandi aziende dell’agribusiness, e patrimoni immobiliari di grandi dimensioni.

Il ruolo delle imprese per invertire la perdita di biodiversità

Come per la Cop27 sul clima in Egitto, c’è delusione sulla riduzione dell’impronta ambientale del mondo economico e delle imprese. “Senza impegni nazionali in questo settore i target dell’accordo non saranno sufficienti a raggiungere l’obiettivo lodevole di arrestare ed invertire la perdita di biodiversità entro il 2030”, ha commentato Marco Lambertini, Direttore Generale WWF International. Tuttavia, l’accordo di Montreal prevede che gli Stati dovranno “adottare misure per incoraggiare e consentire che le grandi società e le istituzioni finanziarie possano monitorare, valutare e divulgare regolarmente i loro rischi, le dipendenze e gli impatti sulla biodiversità”, oltre che rendere disponibili informazioni sugli impatti per i consumatori e dare informazioni sulle risorse genetiche impiegate.

Sul tema della riduzione dei pesticidi, invece, è stata l’India ad opporsi alla loro graduale eliminazione. Il testo menziona solo una riduzione del rischio complessivo, contando quindi di eliminare almeno la metà dell’uso di sostanze chimiche pericolose. Ci si aspettava molto da questa Cop15 che doveva essere, un po’ come l’Accordo di Parigi per il clima, il momento nel quale il mondo realizza che è necessario arrestare e invertire la perdita di biodiversità. Il mandato c’è, ora tocca soprattutto alla politica trovare il modo di raggiungere i 23 obiettivi. Sperando che questo piano decennale non fallisca come quello degli Aichi Target (2010-2020), iniziativa che non vide il raggiungimento di nessun obiettivo.

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