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La “Next generation Eu” e la perdita del senso delle scelte

di Paola Ficco, Avvocato - Giurista ambientale e Direttore della Rivista Rifiuti

Data 01/05/2022
Tipo Editoriale
rivista rifiuti

“Next generation Eu” e il suo bazooka da oltre 190 miliardi di euro destinati all’Italia. Non è un regalo ma il piano europeo di investimenti più ambizioso dal dopoguerra ad oggi e finanziato con l’emissione di titoli di debito europei sui mercati finanziari. Insomma, il debito elevato a sistema di comunicazione intergenerazionale perché le sfide e i rischi che di questo indebitamento abbiamo accettato ricadranno sul futuro delle nuove generazioni che dovranno gestire crisi non solo economiche ma anche sanitarie e ambientali.

E davanti alla potente missione affidata alla P.a. per la gestione di questo fiume di denaro l’organizzazione si confonde. È il caso dei Dm 396 e 397 del 2021 con i quali il Mite ha adottato i criteri di selezione, per finanziare con 2,1 miliardi di euro, i progetti relativi a: raccolta differenziata, impianti di riciclo e iniziative “flagship” per le filiere di carta e cartone, plastica, elettronica e tessili (investimenti 1.1 e 1.2 del Pnrr).

Tutte le domande dovevano essere presentate entro il 14 febbraio 2022, poi sono intervenute le correzioni dei decreti e degli avvisi e, quindi, sono state prorogate le date; insomma, l’ultimo termine è esitato lo scorso 23 marzo. Il solito pasticcio nazionale. Nel frattempo si susseguono bandi per incentivi, finanziamenti, agevolazioni per lo svecchiamento in chiave ecologica del parco veicolare e produttivo nazionale (dagli eco compattatori per bottiglie di plastica ai veicoli per autotrasporto di merci).

Bandi e avvisi che spesso dalla Gazzetta ufficiale “rimbalzano” il lettore sul sito del Ministero competente e le domande vanno presentate esclusivamente per via telematica. Lo Stato digitale o “e‑government” ha due scopi precisi: offrire servizi più efficaci e diretti ai cittadini; incrementare l’efficienza dei processi interni dei diversi uffici nei quali si articola la Pubblica amministrazione. Un articolato quadro normativo disciplina il tutto (dal Codice dell’amministrazione digitale – Cad – alla “Legge Madia” – 124/2015 –, per dirne alcuni) e abbiamo familiarizzato con lo Spid (Sistema pubblico di gestione dell’identità digitale). Ma c’è un “ma”: si chiama “digital divide”; è il divario digitale che c’è tra chi ha un adeguato accesso a internet e chi, invece, non ce l’ha (anche per scelta). Ne deriva una esclusione dai vantaggi della società digitale. Con danni socio‑economici e culturali a carico di chi ne è colpito. E più aumenta il digitale più aumenta il danno da esclusione. E poiché il “digital divide” colpisce più spesso chi è già svantaggiato, costui entra in un circolo vizioso, fatto di povertà ed esclusione crescenti. Interessante, al riguardo, il “Rapporto sul benessere equo e sostenibile” (Bes) di Istat il quale, fotografando l’Italia durante la pandemia, sull’uso di internet afferma che “Lo svantaggio del Mezzogiorno (63,4%) è reso particolarmente evidente da uno scarto di 9 punti percentuali rispetto al Nord e al Centro (72,3%)”.

Insomma, parte della popolazione nazionale sta pagando (e continuerà a farlo) un prezzo altissimo e non recuperabile; una ferita lacerata e aperta. Una nuova forma di discriminazione riconducibile al fenomeno dell’esclusione digitale, di cui la didattica a distanza (dad) ha rappresentato l’esempio più fulgido e allucinante (si stima che l’8% degli studenti sia rimasto privo di collegamento; in altri termini: isolato).

Non basta creare le infrastrutture, vanno anche create le condizioni per l’accesso. I soldi del “Next generation Eu” aiutano, ma non bastano perché manca po’ di sano desiderio delle cose che prescinda dalla immaginifica perfezione.

Diversamente la “prossima generazione Ue” sarà fatta di giovani schiacciati non solo dal debito ma soprattutto da un ideale disumano che li appiattirà a strumenti di solo consumo. Il desiderio fonda lo sforzo che si compie per sostenere le nostre scelte, ed è il sostegno delle nostre aspettative; in sua assenza ci orientiamo solo in relazione alle attese di qualcun altro. Per questo perdere il desiderio significa perdere il senso delle proprie scelte. Ed è così che nasce la “Next generation Eu”, non desiderante e quindi docilmente precaria in un mondo che la vuole sempre in movimento con traslochi costanti, dove la promessa di stabilità rimane legata ai questionari di gradimento dell’ultimo corso tenuto, rigorosamente, on line.

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